Rio: doping, medaglie e veleni Scoppia rissa verbale fra atleti

Quando c’è il doping di mezzo, non c’è tregua olimpica che tenga. E l’appello del Cio al rispetto reciproco rischia di rimanere inascoltato.

Gli strascichi del caso Russia inevitabilmente condizionano i Giochi di Rio de Janeiro, a partire dal pubblico, che in questi giorni non ha risparmiato bordate di fischi agli atleti di Mosca e dintorni.

Ma anche fra gli atleti è iniziata una sottile guerra fra puliti e dopati, e poco importa che questi ultimi abbiano già saldato il conto con la giustizia sportiva.

Dopo il rapporto McLaren, il Cio aveva deciso di lasciare alle singole Federazioni di decidere chi ammettere e chi no ai Giochi, fissando però un paletto: niente Rio per chi, fra i russi, in passato si era macchiato di doping.

Una sorta di regola di Osaka ad personam ma, come accaduto nel 2011, quando quella norma veniva applicata a tutti, il Tas ha detto no.

A esultare, fra gli altri, Yulia Efimova, bronzo quattro anni fa, squalificata per 16 mesi nel 2013 per uso di steroidi e poi graziata dalla Fina per una recente positività al meldonium.

Ma c’è chi non ha gradito. I 100 rana femminili sono stati incandescenti con la 19enne americana Lily King, oro, che non ha risparmiato gestacci e insulti all’indirizzo della russa, argento: «la mia è stata la vittoria dello sport pulito», il messaggio mandato dalla King, che ha trovato il supporto di una leggenda come Michael Phelps.

Lo Squalo di Baltimora non ha esitato: «Che giorno triste per lo sport, permettere ai dopati di gareggiare è una cosa che mi spezza il cuore e mi fa letteralmente incazzare».

Ma questa acredine non riguarda solo la Russia. Nella conferenza stampa tenuta dopo aver vinto la finale dei 400 sl, l’australiano Horton è andato giù pesante nei confronti di Sun Yang, argento e in quel momento al suo fianco: «Per me è un problema che sia risultato positivo e gareggi ancora, non ho rispetto per i dopati», il riferimento alla squalifica di tre mesi ricevuta dal cinese nel 2014 per uno stimolante.

Efimova, dopo l'argento ieri ha trovato solo una bordata di fischi di chi non le perdona di essere alle Olimpiadi dopo il suo coinvolgimento nello scandalo doping.

Un clima pesante quello intorno alla squadra russa fischiata fin da subito, a cominciare dalla cerimonia inaugurale allo stadio Maracanà, soprattutto all’interno della piscina olimpica, che ha costretto il Cio ad intervenire con un monito deciso indirizzato agli atleti: «Rispettate i vostri avversari. Chiediamo agli atleti di aver maggior fair play non solo con i comportamenti sui campi gara ma anche nelle loro dichiarazioni».

Gli atleti di Mosca, però, non sono gli unici ad attirare le ire di qualche avversario. «Dispiace sempre essere battuto da un cinese. Mi fa vomitare vederlo sul podio. Sun è uno che fa la pipì viola», è stato il commento del francese Lacourt dopo la vittoria sui 200 stile di Sun Yang.

Trovata positiva nel 2013 ad uno steroide, la Efimova è rimasta coinvolta nel 2016 nella vicenda del meldonium che ha portato alla squalifica anche della tennista Maria Sharapova. «Non c’è medaglia che possa cancellare l’amarezza del vedere che tutto il pubblico è contro di te. Ho commesso degli errori nella mia vita. La prima volta ho pagato con la squalifica di sedici mesi, ma la seconda volta non è stata colpa mia. Sono pulita», ha ammesso a caldo, scoppiano in un pianto quasi liberatorio.

Un clima pesante che ha accompagnato le bracciate della Efimova sin dalle batterie, e che ha visto protagonista anche la statunitense Lilly King, poi vincitrice dell’oro, che al termine della semifinale ha rivolto alla rivale il classico gesto del dito medio, schivando l’abbraccio della russa anche dopo la finale.
Alla 19enne dell’Indiana, nuova star a stelle e strisce della rana, proprio non va giù che bionda rivale di Groznyj sia salita sul podio olimpico con lei, dopo averle nuotato a fianco.

«Se fossi stata in lei - ha confidato dopo aver stabilito il record olimpico - non avrei mai cercato le congratulazioni da chi non parla bene di me. Purtroppo devo rispettare la decisione del Cio di riammetterla, ma lei non avrebbe dovuto essere a Rio. Sono fiera di competere in modo onesto».

La Efimova tornerà in acqua oggi sulla doppia distanza dove proverà a bissare la medaglia già conquistata a Londra nel 2012, ma di certo la sua presenza in vasca non piace a molte colleghe e al pubblico brasiliano che continua a beccare anche gli atleti statunitensi dopo la vicenda Hope Solo, con il coro «Zika, Zika».

Il portiere Usa alla vigilia della partenza per i Giochi aveva postato diversi tweet ironici accompagnati da foto in cui mostrava al mondo l’arsenale messo in valigia per prevenire i morsi delle zanzare. Ironia che i brasiliani non hanno gradito, tanto da creare ad hoc questo coretto da stadio, «Olè, olè, olè, olà! Zika, zika», per ultimo riservato alla coppia del beach femminile.

Filippo Magnini, da sempre sensibile alla tematica doping, non ci ha girato troppo attorno: «Sono stanco di parlarne. Alla fine la Efimova è arrivata seconda e anche Sun Yang ha fatto secondo nei 400, significa che le sdentate le prendono anche gli altri.

Non dobbiamo fare finta di niente ma non dobbiamo nemmeno dare più importanza alle cose brutte. Purtroppo chi dovrebbe prendere provvedimenti non li prende, ci dobbiamo convivere e si va avanti così».

Ha rincarato la dose Luca Dotto: «Le Federazioni stanno perdendo credibilità, in queste cose contano ormai, la politica, gli avvocati. Quando li vedi ti viene da prenderli a ceffoni, magari ce ne sono uno o due che tolgono un posto in finale a chi ha fatto sacrifici per 4 anni, ma non gli si può sparare alle gambe. L’unica soddisfazione possibile è batterli da puliti».

La verità, però, forse sta nel mezzo.

Gli americani che oggi alzano la voce sono gli stessi che hanno portato a cancellare la regola di Osaka e americano è quel Gatlin nei confronti del quale Usain Bolt non ha mai risparmiato parole al veleno per il suo passato.

«Mi dispiace un po’ per le polemiche, alla fine chi è stato riammesso ha già scontato la sua condanna - sentenzia Stefano Morini, allenatore di Detti e Paltrinieri - La cosa che mi fa sorridere è che ad attaccare sono australiani e americani, visto che sono i loro tecnici che li allenano. Forse dovrebbero prima guardare in casa loro prima di fare polemica con gli altri».

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