Silvia Fondriest e il volley nel sangue

di Chiara Turrini

Silvia Fondriest, roveretana di 26 anni, schiacciatrice della Trentino Rosa, testa corvina riccia in cima al suo metro e 88 cm, è stata la prima pallavolista trentina ad aver giocato all'estero, in Austria, vincitrice lo scorso anno del premio di miglior atleta regionale. Lo stesso premio che vinse, ai tempi, anche la mamma, Silvana Frisinghelli, a sua volta la prima atleta trentina a giocare a volley in serie A («Ho scoperto da poco che io ero già nella sua pancia quando lei ancora giocava...- confida Silvia ridendo - nei primi mesi di gravidanza. Non giocava ad alti livelli però giocava. Ma mamma, insomma, che sconsiderata!»). Madre insegnante di educazione fisica e sportiva di professione, padre ingegnere ipersportivo per passione, Silvia è cresciuta provando tutte le discipline, perfino il badminton («Davvero! E mi piaceva! Facevo i tornei con la scuola...»). Ha scelto la pallavolo ma ama il basket (parentesi gossip: «Non vado spesso alle partite dell'Aquila (lunedì era al PalaTrento per Dolomiti-Varese, ndr), ma di recente con le ragazze abbiamo conosciuto i giocatori americani...». Ma siete tutte fidanzate, o tu no? «Puoi non scriverlo?». Comunque sono ragazzi simpatici, carini, no? «Sì, molto...»). Lo sport, in casa Frisinghelli-Fondriest, è una faccenda quasi ereditaria e matrilineare. «Mia sorella ha 4 anni meno di me, gioca anche lei, ma si lamenta che i parenti vengono a vedere sempre solo me...», scherza Silvia.

Quindi tua madre deve fare i conti con altre due pallavoliste, in casa.
«No, è mio papà che deve fare i conti con tre pallavoliste! Poi c'è pure un gatto femmina, che è la più egocentrica di tutte! Però dai, io sono uscita di casa presto...».
Sei tornata volentieri?
«Tutti i miei affetti sono in Veneto, ma mi piacciono troppo le montagne, mi piace andare in snowboard. Ma non ci vado! Non ci vado. Scrivilo, se no sembra che ci vado e poi chi lo sente l'allenatore...».
Torniamo all'inizio della tua storia.
«Mia mamma è stata la fautrice della mia carriera. Sono andata via di casa a 15 anni, grazie soprattutto a lei: lei si è mossa per permettermi di fare questo passo, perché conosceva l'ambiente del vivaio di Vicenza e ha comprato il mio cartellino. Non a tutti è concesso di andare via da casa a 15 anni».
Com'è stata allora?
«Mi sono trovata molto bene. Avevano un ottimo settore giovanile, eravamo molto tutelate. Là conobbi Giada (Marchioron, ndr)...lei però era nelle più forti. Erano anni scuola-pallavolo. Certo, tra ragazzine adolescenti qualche battibecco c'è stato. Ma non ho mai avuto momenti in cui volevo tornare, mi trovavo molto bene».
Come ti ha aiutato una mamma campionessa?
«In realtà per alcune cose non andavamo molto d'accordo. Essendo lei una pallavolista e capendo bene il gioco, è molto critica nei miei confronti. In altre parole, io e lei non potevamo proprio parlare di pallavolo...zero! Però mi ha sempre seguita, dandomi consigli scolastici più che di volley. In quanto insegnante ci teneva molto».
Quindi c'è anche una vivace dialettica tra voi. Hai sentito la necessità di emanciparti dall'etichetta di "figlia di"?
«A Vicenza nessuno la conosceva. Qui sì, praticamente io sono Frisinghelli non Fondriest...Per me è una soddisfazione perché non pensavo di arrivare a fare quello che ha fatto lei. E in realtà mi piace molto l'idea che sia un percorso di famiglia, anche se non le dico mai queste cose».
Adesso riuscite a parlare di pallavolo?
«Sì, sono più matura io e c'è più dialogo, è diverso».
Vuoi fare anche tu l'insegnante di educazione fisica?
«Sì, sto finendo la laurea magistrale a Verona. Tutto come mia mamma! Ecco, vedi, amore e odio, alla fine ti segna. Più amore che odio, anche se facciamo ancora delle belle litigate. Ma il conflitto tra noi viene dal fatto che siamo troppo uguali... Comunque il mestiere dell'insegnante, se fatto bene, può trasformare le vite dei ragazzi, è una missione troppo importante».
Tu hai giocato anche in Austria. Che racconti di quella esperienza?
«Ho portato a casa qualcosa a livello umano più che di gioco. Ho trovato compagne fantastiche, e mi sono innamorata dell'Austria».
Parli tedesco?
«No, parlavo inglese, lì lo parlano tutti...».
Affinità-divergenze tra il sistema volley austriaco e noi?
«Loro sono un sacco avanti per quanto riguarda strutture e qualità di vita...ma in realtà l'Austria è solo un passettino avanti rispetto al Trentino. Certo, la differenza aumenta con il resto d'Italia. Come pubblico, non c'era molto seguito, non veniva tanta gente perché seguivano di più gli sport invernali...la palestra aveva degli spalti piccoli».
Così anche con poca gente sembrano in tanti...Sull'evoluzione del volley trentino, ti confronti con tua mamma?
«Ai suoi tempi la pallavolo era diversa rispetto a oggi. Mi dice però che era molto seguita: alle finali per la serie A, in trasferta le seguirono diversi pullman di tifosi. Ma anche noi ora cominciamo ad avere un seguito, pur essendo ancora una novità».
Vivi insieme a Maria Lamprinidou. Anche tu segui un'alimentazione filo-vegetariana?
«Mi trovo molto bene con Maria. Ma no, sul cibo io penso che se riesci a trovare il macellaio di fiducia, puoi tranquillamente mangiare carne».
Frigo diviso, quindi.
«Assolutamente sì! Lei poi è molto più brava di me in cucina».
Tu scatolette di tonno e busta di insalata?
«No, piano. Cucino perché devo tenermi bene per giocare, però sono pigra. Ma amo mangiare, quindi se qualcuno vuole cucinare per me, ben venga».
Appello lanciato. Altri punti di riferimento oltre a tua madre?
«Le mie amiche».
Non è sempre facile, fra donne, fare gruppo.
«Bisogna. Noi siamo quasi costrette per vincere. Professionalmente dobbiamo farlo sul campo, con alcune riusciamo a farlo anche fuori. Non è automatico tra femmine. Noi infatti siamo più "maschili". Abbiamo un rapporto diverso col nostro corpo, dobbiamo andare d'accordo...fino a un certo punto, ovvio».
Un rapporto col corpo?
«Sì, un tema che ho toccato anche all'università. Vuol dire essere capaci di guardarsi allo specchio senza problemi, un vivere bene con sé stesse, con una certa disinvoltura, che aiuta. Ogni giorno dobbiamo guardarci e ascoltarci perché il corpo è il nostro strumento di lavoro. Ce ne prendiamo cura dalla nutrizione agli aspetti mentali...Poi noi donne siamo un po' psicopatiche, eh. Cioè, anche gli uomini hanno le loro, per carità, ma noi siamo un po' più umorali, diciamo così».
Ormoni e sindromi premestruali.
«Sì, ma non è un buon motivo per lasciarsi sopraffare, non può diventare una scusa. Se ci fermassimo qui ci sminuiremmo».
Quasi un discorso femminista.
«Ogni tanto con la storia del femminismo si esagera. Non può essere solo uno slogan, una bandiera. Possiamo rivendicare le pari opportunità ma solo se prima abbiamo fatto vedere il nostro valore. Altrimenti è un altro sminuire, un'altra scusa».
La più grande soddisfazione avuta finora?
«La promozione in A2, sicuramente. E la Coppa Italia, come emozione immediata. Poi, ovvio, anche vedere mia mamma emozionata alla mia laurea».
E i tuoi obiettivi futuri?
«Insegnare. Poi, nel breve periodo, un viaggio con le amiche. In Messico o in Europa».
Wow!
«Devi scusarmi, però, parlo tanto io. Mi dicono sempre che parlo troppo...di recente sono diventata utente di Blablacar (piattaforma online che permette agli utenti di offrire passaggi in macchina, ndr). L'altro giorno per la prima volta ho dato un passaggio a tre studenti. E quando l'ho detto alle mie amiche, loro mi fanno: "Silvia, mica avrai parlato dall'inizio alla fine, quelli non salgono più!". Sì, ho parlato dall'inizio alla fine, ma dai, mi sembravano contenti...».

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