Cibio riprodotta rara malattia genetica È il primo passo verso la cura

di Davide Sereni

Un grande traguardo raggiunto dall'Università di Trento, un balzo in avanti nello studio di una rara e terribile malattia che colpisce i bambini, la sindrome di Kabuki. Un team italiano di ricercatori del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata "CIBio" di Trento è riuscito, dopo quattro anni di lavoro, a ricreare la condizione patologica in provetta, permettendo di comprendere al meglio l'andamento della malattia.

Si tratta di una grande innovazione in campo scientifico, che da sola però non basterà, poiché la ricerca in questo campo deve ancora fare tanta strada, ma rappresenta un ottimo punto di partenza per ricerche future, oltre che una speranza per chi soffre di questa patologia. La sindorme di Kabuki ha un'incidenza di caso su 30 mila nati, ma presenta dei sintomi notevoli: ritardo nella crescita, anomalie cranio-facciali, deficit cognitivo e, spesso, sordità e cardiopatie. Alessio Zippo , alla guida del team che ha concepito lo studio, spiega: «Il nostro gruppo di ricerca dell'Università di Trento per la prima volta ha riprodotto l'insorgenza della sindrome Kabuki in laboratorio.

Per farlo abbiamo utilizzato cellule staminali umane sane e vi abbiamo introdotto la mutazione genica che ritroviamo nelle cellule dei pazienti. Con tecnologie all'avanguardia abbiamo visto che il nucleo della cellula è malformato a causa di un alterato impacchettamento della cromatina. Dallo studio emerge come la difficoltosa formazione di cartilagini e ossa derivi dall'incapacità delle cellule di rispondere ai segnali meccanici che normalmente ne guidano il processo».

Lo studio apre nuove prospettive nel campo delle malattie genetiche rare perché è riuscito a individuare come il nucleo delle cellule sia alterato nella struttura e nelle proprietà meccaniche. «Abbiamo inoltre individuato e testato un approccio terapeutico che ristabilisce le proprietà delle cellule affette dalla mutazione, sia in vitro sia in vivo. Si tratta dell'inibitore di ATR, una proteina nucleare che funge da sensore molecolare in risposta agli stimoli meccanici del nucleo» conclude Zippo. Il lavoro di ricerca si è sviluppato ed è stato condotto dall'Università di Trento, ma è stato un lavoro corale, in quanto ha coinvolto anche Istituto Italiano di Tecnologia, l'Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, l'Università di Napoli Federico II, il Cnr-Icar e l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

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