La dottoressa Desiderato «Ecco come curo a casa i pazienti covid»

di Matteo Lunelli

Hanno un ruolo fondamentale: permettono agli ospedali di mantenere un po' di letti liberi, supportano i medici di base e i pediatri, particolarmente sotto stress in questo periodo, e aiutano i pazienti a sentirsi meno soli e più curati.

Stiamo parlando delle Unità speciali di continuità assistenziale, gli Usca. Ovvero i medici che gestiscono i pazienti Covid a domicilio: quelli che ogni giorno prendono la macchina, arrivano sotto casa della persona positiva, si bardano con tuta, guanti, mascherina, visiera, ed entrano nell'appartamento del contagiato per una visita di controllo o per somministrare dei farmaci. Sono sentinelle del territorio, che lavorano in strettissimo contatto con i medici di base e i pediatri, permettendo agli ospedali di respirare (eufemismo, vista la situazione).

Tra i 13 dottori in primissima linea c'è anche Francesca Desiderato : 28 anni, nata e cresciuta a Rovereto, tra un anno e mezzo completerà il proprio percorso alla scuola di medicina e «poi sogno di diventare medico di famiglia a Rovereto, è quello che ho sempre voluto». Nel frattempo dallo scorso marzo è scesa in campo per aiutare e formarsi, oltre «a poter essere sempre sul pezzo, informata su terapie e ricerche, vivendo il Covid a stretto contatto con i pazienti. Oggi ho fatto 8 accessi a domicilio con l'infermiere e ora sto scrivendo i diari delle persone curate». I medici delle Unità speciali di continuità assistenziale sono 13. Un numero che andrebbe potenziato, come richiesto anche dall'Ordine dei medici.

Dottoressa, lei è in prima linea: come è la situazione?
Le persone che sono curate a domicilio e hanno dei sintomi crescono: per dare un dato io che seguo Vallagarina e Altipiani cimbri ho attualmente 41 persone, o meglio nuclei familiari, ma solo due settimane fa erano 3. Il trend è in netta crescita.
Ma siamo ancora lontani dalla situazione di marzo? E "clinicamente" le persone stanno male allo stesso modo?
In primavera siamo arrivati ad avere in carico circa 300 nuclei, oggi in Trentino ne abbiamo circa 200. Quindi ci sono dei margini, ma a preoccupare è il fatto che sul territorio si raddoppia di settimana in settimana e ci vorrebbe più personale. Per quanto riguarda la varietà di quadri clinici ne vediamo molti diversi sia prima sia adesso. La differenza è nel lavoro da fare.

Ci spieghi meglio.
A marzo il nostro contributo era soprattutto telefonico, per un monitoraggio dei pazienti. Conoscevamo meno il virus e tendenzialmente le persone venivano curate in ospedale. Ora si cerca in ogni modo di evitare l'ospedalizzazione: diciamo che persone con parametri simili a marzo finivano in reparto mentre oggi cerchiamo di seguirle a domicilio e sappiamo quali farmaci somministrare: quelli che funzionano meglio si possono dare anche a casa.
Voi che avete vissuto la prima ondata e state vivendo questo inizio di seconda, ve lo aspettavate?
Non certo così dirompente, non avrei mai creduto che la seconda ondata sarebbe stata una bomba, così veloce e così forte.
Quando e come entrate in scena?
La gestione clinica del paziente Covid è a carico del Medico di medicina generale, che può decidere se attivare o meno l'Usca. Alcuni dottori preferiscono prendersi carico di tutto e si arrangiano, altri affidano a noi alcuni aspetti, altri ancora ci accompagnano alle visite. I servizi principali sono tre: le visite mediche, il monitoraggio telefonico e la fornitura del saturimetro, strumento fondamentale per verificare un aggravamento della situazione.
Le visite non sono semplici: non si suona il campanello e si beve il caffè col paziente...
No. Si parte con il borsone e io uso dei vestiti solo per quando faccio le visite, che non porto poi a casa se non per lavarli. Sotto il domicilio si trova un luogo aerato e ci si barda, con l'aiuto dell'infermiere o del collega, o a volte sono io che aiuto loro se ad entrare sono appunto loro. C'è un automatismo, una sequenza delicata che va fatta con attenzione. E poi la svestizione, non meno importante, perché bisogna considerare contaminato tutto quello si indossava.


Anche la sua vita privata risente di questo lavoro a contatto con il virus?
Diciamo che mi sono data una progressiva accorciata ai capelli e faccio docce su docce. E poi niente visite ai nonni, addio a pranzi e cene in famiglia e i pochi incontri sono a distanza e con la mascherina. Ma l'esperienza professionale è davvero molto formativa, sono contenta. Anche se è dura e il momento più difficile è quando le "armi" finiscono e bisogna trasferire in ospedale il paziente.
Come curate le persone positive a domicilio, che in Trentino sono attualmente 1.896, ma per fortuna in grandissima parte asintomatiche?
Cura è una parola grossa. Diciamo che ci sono farmaci di supporto, dalla tachipirina all'eparina, passando per cicli di cortisone, che io tuttavia non ho mai consigliato, e classici rimedi per la tosse.

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