Massimo Pizzato è lo scienziato anti-Aids del Cibio Ci racconta il «miracolo» della ricerca di Povo

Massimo Pizzato, lo scienziato anti-Aids del Cibio, ci racconta il «miracolo» della ricerca di Povo

di Paolo Ghezzi

Dopo oltre trenta milioni di morti nel mondo, oggi sono tremila in Italia, trenta a Trento i casi annuali di infezione da Hiv, il virus dell’immunodeficienza. «Pochi». L’Aids non è più «di moda», in Occidente. Ma ad altre latitudini si continua ad ammalarsi, a morire, non c’è ancora una cura. Solo farmaci per tenere sotto controllo la malattia. È notizia di ieri: se un giorno l’Hiv sarà sconfitto, è anche grazie a una proteina la cui funzione di inibitore naturale dell’infezione virale è stata scoperta nei laboratori del Cibio dell’Università, a Povo 2.
ll nome da mandare a memoria è Serinc5, la proteina/barriera - individuata tra le 20mila del nostro genoma - in grado di neutralizzare il virus, sempre che riesca a eludere la proteina Nef, che rimuove Serinc5 e rende le cellule indifese rispetto all’azione dell’Hiv. Tre anni di ricerca sono stati finalizzati dall’équipe guidata da Massimo Pizzato, vicentino, classe 1968.

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La scintilla iniziale, Pizzato?
«A Harvard, al laboratorio del Dana-Farber, tra 2000 e 2002: lavoravamo con il collega tedesco-americano Heinrich Göttlinger. Lui ha continuato la ricerca nel Massachusetts ed è arrivato alle nostre stesse conclusioni, ma per una strada diversa. Loro hanno lavorato sulle proteine associate al virus, noi abbiamo guardato i geni espressi dalle cellule che producono. “Nature” ci ha pubblicato insieme».

La scintilla finale, quel grido della sua collega Annachiara Rosa, alle sette del mattino del 25 ottobre 2013, quando ha «visto» la Serinc5 in azione?
«È stato un bel momento. Era il sospetto, su cui avevamo molti indizi. Confermava le nostre intuizioni. Ma non c’era ancora la prova. C’è voluta poi una lunga serie di test per “incastrarlo” e validare la scoperta. La consacrazione scientifica l’abbiamo avuta due anni dopo, a maggio, alla conferenza del Cold Spring Harbor Laboratory, New York: siamo finiti sulla copertina degli Atti. Poi Nature ci ha chiesto un full research article. Era fatta».

È stata dura?
«Qui si lavora senza orari, gli esperimenti sulle cellule richiedono presenze all’alba, a volte la notte. Questo è un mestiere bellissimo e terribile: lavori per anni senza avere soddisfazioni, poi una scoperta ti ripaga di tutto. Ma prima ci vogliono molti fallimenti».

La soddisfazione più grande?
«I colleghi di tutto il mondo che ci chiedono i reagenti per continuare gli esperimenti: senti che hai contribuito al progresso globale della ricerca».

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Il prossimo passo?
«Il virus Hiv ha sviluppato un meccanismo per eludere la protezione della Serinc5 sulle cellule: ora bisogna capire come fa il virus ad eliminare la difesa, per consentire alla proteina in difesa di avere il sopravvento».

Quant’è costata finora la ricerca? Troverete i nuovi fondi necessari?
«Tra costo dei ricercatori e dei materiali (i terreni e gli enzimi per la coltivazione delle cellule sono costosi), saremo a metà strada tra il mezzo milione e il milione di euro. Qui al Cibio ci sono le condizioni ideali: al preziosissimo finanziamento della Provincia si sono aggiunti fondi Ue e della Fondazione Caritro. E il tutto lasciandoci piena autonomia. Senza i nepotismi che ci sono altrove. Il problema è che Hiv e Aids non sono più molto popolari, l’Italia non ha un fondo di ricerca specifico da parecchi anni, è difficile trovare finanziatori perché sembra che la sindrome sia sparita dall’Occidente: e invece c’è un incremento di nuove infezioni, e nell’Africa subsahariana decine di milioni di persone ne restano affette».

Quand’è che ha capito che sarebbe diventato un cacciatore di virus?
«Durante il dottorato di ricerca all’Institute for Cancer Research, con il mio maestro Robin Weiss, studiando l’interazione tra virus e tumori all’ovaia. I virus li vediamo solo come patogeni, ma sono maestri eccezionali: molte delle basi molecolari le conosciamo solo grazie a loro. Dobbiamo conoscerli meglio per usarli».

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Figlio d’arte? Scienziato fin da bimbo?
«Figlio di Eligio e Carmen, negozianti di alimentari. Mio padre, a 81 anni, alza ancora la serranda ogni mattina, nella frazione Crosara di Marostica. Ho una sorella maggiore, Stefania. Ho sempre avuto una passione per la natura e gli animali, salvavo gli uccelli da richiamo dei cacciatori. Ma ho anche una passione per la musica classica: sono diplomato in clarinetto».

Famiglia, affetti, hobby.
«Sposato con Anna, svedese conosciuta a Boston. Lavora qui anche lei, ma nell’amministrazione. Una figlia di 9 anni, Sofia. Vuol fare la scrittrice. Quando ho un po’ di tempo, ascolto musica o corro. Fin su in Marzola».

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