Centrale a biomassa di Novaledo Nuove audizioni in Provincia

La terza commissione del Consiglio provinciale di Trento ha deciso di effettuare delle audizioni per fare chiarezza sul progetto per l’impianto di cogenerazione alimentato a biomassa a Novaledo. Saranno sentiti l’assessore Mauro Gilmozzi, i Comuni di Novaledo e di Roncegno e l’azienda Menz & Gasser.

Il presidente della commissione, Mario Tonina, ha garantito ai firmatari della petizione popolare contraria alla realizzazione dell’impianto «il più alto senso di responsabilità».
I commissari si sono detti concordi sulla necessità di «fare luce su un progetto che allo stato attuale presenta aspetti poco chiari».

Fra i cittadini molti si preoccupano degli effetti che potrebbe comportare l’installazione della centrale, prevista tra gli abitati di Novaledo e Marter, con l’azienda che beneficerebbe dei generosi incentivi economici statali previsti per la produzione di energia elettrica da fonti assimilate alle rinnovabili.

«L’impianto - ha sostenuto il portavoce del comitato anti-bruciatore, Renzo Maria Groselli - nascerebbe per un business elettrico: milioni di euro che entrerebbero nelle casse aziendali attraverso la vendita di energia elettrica, a fronte di un sicuro aumento dell’inquinamento e di conseguenza un peggioramento della salute e del benessere della popolazione».

Erano 447 le bandierine depositate sul selciato ieri pomeriggio davanti al palazzo della Provincia in piazza Dante a Trento. Su ognuna il nome di un alunno delle scuole elementari di Roncegno, Marter, Novaledo e Barco. La protesta contro il progettato impianto a biomassa della Menz & Gasser è sbarcata a Trento e la manifestazione di ieri ripete quella avvenuta il 10 ottobre scorso in piazza a Novaledo.

Nel capoluogo era presenta una delegazione dei comitati e associazioni come Respiro di Valsugana, Valsuganattiva, Comitato 26 Gennaio e Komsumer Italia che da mesi danno battaglia contro un impianto che «colpirebbe non solo la nostra salute ma anche e soprattutto quella dei 447 bambini».

Ma il momento importante di ieri è stato appunto l’audizione di una delegazione dei comitati con la Terza commissione del consiglio provinciale presieduta da Mario Tonina. A nome dei contestatori dell’impianto ha relazionato il tecnico Franco Giacomin.
L’ingegnere ha affermato che l’impianto non produrrebbe alcun beneficio a favore della comunità perché non si tratta di un impianto di teleriscaldamento.

«La biomassa legnosa, ovvero la combustione di questo materiale produce idrocarburi, metalli pesanti e diossine, in funzione di come l’impianto viene gestito e dalla qualità del materiale introdotto. Tuttavia pare che la Provincia non abbia stabilito alcun vincolo al riguardo, ma ha semplicemente richiamato le norme generali, quando i limiti andrebbero fissati in funzione delle tecniche scelte e riferiti ai singoli impianti. In ogni caso è noto che anche la biomassa vergine contiene cloro, zolfo e altri metalli: la stessa Appa aveva già evidenziato che la combustione delle biomasse è la maggiore responsabile dell’emissione di queste sostanze. Qui si parla però della possibilità di usare degli scarti di lavorazione industriale, derivati del legno, che prevedono colle, materiali plastici ecc.

La stessa Menz & Gasser ha riferito che una volta che l’impianto sarà attivato ci sarà un notevole incremento delle emissioni, un incremento rispetto ad oggi del 160% per gli ossidi di azoto e di 20 volte per gli ossidi di zolfo.
In aggiunta a questo ci sarà presenza di polveri sottili, ammoniaca, formaldeide, con un grave peggioramento delle emissioni prodotte rispetto allo stato attuale».

Renzo Maria Grosselli e Camilla Rigotti, parlando a nome dei comitati, hanno chiesto quindi ai consiglieri della commissione «di fermare il progetto. Avete una grande responsabilità nei confronti della gente della Valsugana e vi chiediamo di dire no ad un impianto inserito in un contesto già martoriato sotto il profilo ambientale».

L’impianto in questione, ha aggiunto Grosselli, «non sarebbe un impianto di teleriscaldamento teso a far chiudere centinaia di impianti a petrolio, non sarebbe un impianto in cui potrà essere usata l’abbondanza di materiale di scarto prodotto dalle segherie in loco come accade per altre valli trentine».

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