Impariamo a rispettare il tempo dei bambini

Più passa il tempo e più le persone sono social, ma meno sociali. E i danni aumentano. Aumentano i disturbi psicologici. Aumenta la violenza, aumenta la depressione. Aumentano i bambini che vivono chiusi dentro a una scatola. E aumentano i suicidi. Anche in tenera età.
Credo che dovremmo insegnare ai bambini a essere bambini, a rimanere bambini per tutto il tempo necessario e utile a vedere il mondo con occhi da bambino, invece di accomodarli (per accomodarci) con un cellulare in mano, con uno schermo in cui rendersi protagonisti in un mondo virtuale e non certo reale.
Dovremmo prenderci il tempo per stare con i bambini, per giocare con loro, per portarli nella natura, per mostrar loro la meraviglia che ci circonda, piuttosto di piazzarli su un divano davanti a YouTube o vederli su Tik-Tok con una cintura legata al collo. Dovremmo coltivare momenti e parole con i bambini, tante parole. Dovremmo abbracciarli di più, apprezzarli di più, valorizzarli di più. E insegnare loro a riflettere, far capire loro che non è normale passare ore e ore davanti a uno schermo. E dovremmo essere noi adulti a mostrare ai nostri figli quello che conta veramente e tramandare loro dei valori. Dei grandi valori.
Dobbiamo permettere ai bambini di restare bambini il più possibile o, meglio, dovremmo essere noi adulti a imparare da loro e non il contrario, poiché i più piccoli vivono attimo per attimo, senza fretta, senza alcuna esitazione, senza pensieri, senza lo stress che spesso ci creiamo da soli.

Sara Conci


 

Dobbiamo ritrovare il senso di una vita non virtuale

Sottoscrivo. E colgo la forza del "noi" che pervade ogni sua parola. Perché tocca a noi, intesi come genitori e come società, il compito di far capire ai nostri figli quanta e quale sia la differenza fra reale e virtuale.

Per molti di noi - basta guardare una qualsiasi famiglia al ristorante per capirlo - il cellulare è diventato una sorta di babysitter. Solo che un tempo le babysitter si selezionavano con grande cura, perché avrebbero avuto in mano il destino dei nostri figli, mentre adesso solo pochi genitori si prendono il tempo per guardare come i loro figli usino quello strumento pieno di insidie che si chiama smartphone.

Chi, come me, è cresciuto in cortili e parchi, in palestre e boschi, inizia a farsi anche qualche domanda su come cresceranno (intendo dal punto di vista fisico) le nuove generazioni: con un divano sempre attaccato al corpo - estremizzo - e con dei giganteschi pollici per compulsare ogni apparecchio con due dita? Un po' scherzo, ma un po' mi chiedo - leggendo le sue parole che sono un bell'invito a ritrovare la normalità della vita, la meraviglia della crescita, l'incanto dell'essere bambini - che fine farà ad esempio la fantasia (visto che in rete si trova tutto, finendo per essere travolti da risposte che ci impediscono di porre e porci domande), che ne sarà dei dialoghi: i telefonini ingigantiscono infatti ogni solitudine.

C'è un paradosso evidente: ciò che si chiama social, come rileva lei, in realtà incentiva l'opposto. Non avvicina, allontana. Offre scorciatoie, ma non dà strumenti per capire i percorsi. Sì, dobbiamo proprio ritrovare i valori, il senso di una vita che non è elettronica o virtuale, ma vera, tutta da vivere. E non da osservare da uno schermo. Perché quella che si osserva da uno schermo è la vita - spesso finta o edulcorata, fra l'altro - degli altri.

 

lettere@ladige.it

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