Referendum, un “taglio” che vale quanto un caffè

Lettera al giornale

Referendum, un “taglio”  che vale quanto un caffè

Il 20 e il 21 settembre andremo al voto referendario sul taglio del numero dei parlamentari. Il sì e il no si contrappongono in maniera semplicistica. Chi dice che 350 parlamentari in meno sono un risparmio e chi dice che la quantità non è elemento determinante. La saggezza dei pochi ma buoni è tutta da provare. L’insegnamento che ci è stato dato dai Padri costituenti sembra disperdersi. Se nel 1948, con 48 milioni di abitanti, i fondatori della nostra democrazia hanno stabilito un certo numero di parlamentari, credo abbiano avuto le loro ragioni. Ed erano persone pensanti, non improvvisati costituzionalisti.
Ora con 60 milioni di abitanti vorremmo diminuire di un terzo la rappresentanza popolare democratica. Se fosse per un ragionamento giuridico, istituzionale, di riassetto democratico, si potrebbe anche parlarne. L’unica motivazione addotta e che ovviamente ha fatto presa sulla pancia nazionale è il cosiddetto risparmio.
Questo tradotto in euro, pare sia di un caffè all’anno per ogni abitante. A fronte di 785mila euro spesi alla Camera per una non ben definita ”comunicazione”, per uno staff del Ministro degli Esteri che costa il doppio del precedente, per una spesa pubblica assistenzialista, giustificata dalla pandemia che regala soldi a pioggia a chiunque. Il recente ulteriore scandalo bonus sembrerebbe avvalorare la tesi della scarsa onestà di taluni personaggi.
Ma non è il numero che screma i disonesti arrivisti, è come e chi viene votato e gli elettori non possono chiamarsene fuori. Se invece che alla propaganda si guardasse alla sostanza concreta degli impegni elettorali, andremmo meglio. Votare un taglio, senza che si sappia legislativamente cosa succederà poi, è da scriteriati. L’italiano, geniale per Dna, tende alla vita bohémienne, al subito e ora, e perde di vista il domani e per gradi, che poi sarebbe quanto dobbiamo alle generazioni future.
Abbiamo davanti agli occhi come un Parlamento di persone poco preparate, per non dire talvolta ignoranti, e guidate da apparati esterni possano stravolgere persino le ideologie; chi fa più like e retweet diventa un esempio, la sostanza è relativa, e la piazza si sposta sui social.
Il referendum, essendo confermativo, non ha bisogno di quorum, quindi come va, va. Pensiamoci, prima di dire sempre «tanto non cambia niente», assumiamoci le nostre responsabilità civiche. E la stampa se ne faccia carico in versioni multiple. A ciascuno il suo.

Rita Grisenti


 

Cerchiamo di offrire più punti di vista

Noi cerchiamo di farcene carico ogni giorno, ospitando chi è per il sì e chi è per il no e anche autorevoli costituzionalisti che, nel merito, spiegano le ragioni dell’uno e dell’altro fronte, a volte schierandosi con decisione. Confesso che io stesso, leggendo le opinioni opposte di persone autorevoli, mi trovo a riconoscermi tanto nell’una quanto nell’altra posizione, finendo un po’ per fare - come ha scritto il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky - la fine dell’asino di Buridano. D’indecisione si può morire. Mi ha colpito ad esempio l’ex presidente Enrico Letta, che - schierandosi per il sì - ha detto che con la scusa che «si può e si deve fare ben altro» non si fa mai nemmeno il primo passo. Come dargli torto? Poi ho letto le considerazioni dell’economista Carlo Cottarelli, che stimo in egual misura, che cita il caffè risparmiato di cui mi parla anche lei, spiegando quanto sia non solo inutile, ma anche dannosa la “riforma”, e mi sono ritrovato nelle sue posizioni. La cosa strana è che andiamo a votare - in un Paese che da tempo pensa che il principale dei nostri mali sia il costo dei politici - non per una riforma o per un progetto, ma per una sforbiciata, che almeno in un primo momento era condivisa da tutti i partiti (che si guardano bene dal difendere, almeno all’apparenza, la presunta casta).
Messo così sembra il voto più inutile - e più scontato - della storia. Un’altra occasione persa. Certo, non è popolare nemmeno dire che prima vanno fatte le riforme, considerato che tutti quelli che ci hanno provato sono rimasti col cerino in mano e con le riforme a riempire cassetti polverosi. Si tratta di capire da che parte cominciare. L’importante è che tutti - su un fronte e sull’altro - sappiano una cosa: la qualità della politica e la qualità dei politici non hanno a che fare con i numeri. Tagliando, c’è persino il rischio che a sopravvivere siano i peggiori. Al di là delle battute, noi cerchiamo comunque di offrire più spunti ai lettori, più punti di vista, più occasioni per approfondire e conoscere la materia.

lettera@ladige.it

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