La Provincia dimentica i nostri figli: le famiglie sono lasciate sole

La lettera al direttore

La Provincia dimentica i nostri figli

Una generazione se ne sta andando, noi genitori non dormiamo di notte per pensare a come sbarcare il lunario e i nostri figli saranno a capo a noi (giorno e notte) per i prossimi mesi. Noi genitori, noi figli, noi coppia, noi lavoratori, noi casalinghi, noi insegnanti, noi psicologi per la nostra famiglia, lo facciamo anche volentieri ma senza dubbio con tanti sacrifici. Un grazie sicuramente al mondo scuola, ai nostri insegnanti che, con non poche difficoltà, sono riusciti ad agganciare e dare una quotidianità alla maggior parte dei ragazzi.
Domenica sera il premier Conte ha annunciato la fase due: chi può tornerà al lavoro (non è una scelta: bollette e mutui si stanno accreditando sul conto corrente come tutti i mesi precedenti), altre famiglie magari monoreddito si sono trovate senza stipendio e a loro va il mio abbraccio. Se fino a marzo c’erano delle certezze, degli stipendi fissi e la voglia di lavorare, ora stiamo brancolando nel buio. Ripartiremo, e questo è certo, come noi trentini sappiamo fare ma ricordiamo ai nostri governatori che esiste una fascia di età che hanno scordato: quella dei 0-18 anni. Torniamo al lavoro ma i nostri ragazzi dove li lasciamo? In quasi due mesi di conferenze stampe con un motivo o con un altro a questa domanda non hanno mai risposto. Sono fiduciosa, ma anche consapevole che noi mamme dovremo fare delle scelte, non per voler nostro ovviamente: sacrifichiamo il lavoro che il più delle volte abbiamo ottenuto non usufruendo magari di congedi e diritti che ci aspettavano e che abbiamo mantenuto facendo i salti mortali? Non credo sia giusto nei nostri confronti: 30 giorni di congedo su sette mesi non sono ovviamente sufficienti. Quindi è il caso di iniziare a parlare, ma soprattutto agire anche per loro, altrimenti il Trentino partirà solo a metà.


Annamaria Dalprà - Baselga di Piné


 

La ripartenza non può essere a metà

In una situazione come questa, in cui moltissimi - usando la sua espressione triste e azzeccata - brancolano nel buio, col timore di non rivedere mai più la luce che fra l’altro vedevano fino a febbraio, servono nuovi diritti, nuove forme d’aiuto (pagate per così dire in tempo anziché in denaro), soprattutto nuove idee. Serve creatività e fantasia. Perché il domani - dico domani perché il futuro mi sembra già troppo lontano - sarà diversissimo per tanti di noi e la società non deve adeguare solo gli spazi alla nuova situazione. Deve adeguare anche i modi di pensare, i modi di vivere, le forme di solidarietà, le risposte da dare alle famiglie, a giovani (e giovanissimi) che hanno voglia di studiare, di muoversi, di confrontarsi, di giocare, molto più semplicemente di crescere. Nei giorni scorsi, ricordando anche la generazione che stiamo perdendo, quella dei nostri nonni, dei nostri genitori, ho parlato di un distanziamento ben più pericoloso di quello sociale: il distanziamento economico. La ripartenza - uso di nuovo le sue parole - non può essere a metà. E non ci può essere qualcuno costretto a sacrificarsi e a scegliere fra lavoro e famiglia, fra stipendio e figli. O fra lavoro e genitori malati e in un isolamento che è sociale e sanitario. Il tema dei giovani è comunque gigantesco ed è grave che la politica solo negli ultimi giorni abbia iniziato a porselo, peraltro ancora senza riuscire a immaginare soluzioni davvero innovative e degne d’essere definite tali. Sono tante le cose insufficienti. Di qui la necessità di sperimentare nuove vie. Con un coraggio legislativo, intellettuale, culturale.

lettere@ladige.it

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