Il Vangelo non dice di accogliere tutti

La lettera al direttore

Il Vangelo non dice di accogliere tutti

Mercoledì 25 settembre è stata presentata alla stampa da Mons. Tisi un’indagine commissionata dalla Chiesa trentina e denominata “Accogliere per crescere”, la quale ha avuto il proposito di raccogliere le impressioni di Comuni e Parrocchie che hanno ospitato dei soggetti richiedenti protezione internazionale. Durante la presentazione gli oratori hanno parlato di pregiudizi e di paura del diverso dipingendo, forse accidentalmente, la gente trentina come un popolo gretto e impaurito, distante dai doveri di solidarietà ai quali siamo tutti chiamati.

È bene ricordare che l’istinto di solidarietà è essenza stessa del popolo trentino il quale, ben prima dell’esplosione dei flussi migratori, si è sempre prodigato per l’assistenza ai bisognosi, come nel caso di calamità naturali o progetti con paesi in via di sviluppo. L’arcivescovo Tisi, accogliendo forse le istanze di chi lo vorrebbe più politicamente impegnato, nel corso della presentazione ha ripetuto il suo mantra: “Chi non accoglie va contro il Vangelo”.
È bene quindi prendere in mano quelle fonti di Autorità che sono i Vangeli, e leggerli. Chi aprirà il Vangelo di Luca, troverà la nota “Parabola del buon Samaritano”, che ci invita a ragionare sul significato di “prossimo tuo”.
Contrariamente a ciò che si fa di solito, io credo che grande attenzione andrebbe posta sul sacerdote e sul levita. Essi, nella visione tradizionale, non aiutano l’uomo e passano oltre: chissà magari quante persone hanno aiutato sulla via di Gerico, oppure chissà quali emozioni li hanno spinti a scegliere di non aiutare l’uomo. Essi potrebbero essersi diretti verso Gerico per cercare aiuto, ma questo - e altre cose - non è dato sapersi.
Io credo che la Chiesa di oggi si stia comportando come il sacerdote e il levita: avendo lo sguardo rivolto a chi viene da lontano, finisce per non accorgersi di chi è qui, al ciglio della strada, ed ha bisogno di aiuto. Non è detto che sia un approccio sbagliato, chissà quante persone sta aiutando, tuttavia non volge lo sguardo al suo “prossimo”.

Non credo sia quindi corretto parlare di “popolazione trentina con pregiudizi verso il diverso”. Penso sia più giusto parlare di “popolazione trentina che vuole vederci chiaro e che pretende una gestione trasparente ed oculata del fenomeno migratorio”. Non si può pensare di continuare secondo la logica del “più siamo e meglio stiamo”, perfettamente consci di come questo modo di gestire i flussi migratori abbia creato povertà, sofferenza e delinquenza.
Un’accoglienza oculata permetterebbe di dare dignità alla persona, così come richiesto dalla Carta costituzionale e dalle convenzioni internazionali, e libererebbe chi è giunto in Trentino molto tempo fa, ed oggi è perfettamente integrato, da quell’equivoco di sentirsi estraneo, solo perché associato al recente flusso migratorio che travolge e annulla l’idea stessa di integrazione. In questa situazione il compito della Chiesa è sicuramente quello di ispirare alla bontà e ai sentimenti cristiani ma è compito della politica, e della politica sola, adottare le misure che si ritengono necessarie per regolare il fenomeno migratorio, promuovendo politiche equilibrate che non diano adito a conflitti e ad ingiustizie sociali.  È poi incontrovertibile che un’immigrazione incontrollata, di quantità e non di qualità, non porti altro che braccia da sfruttare e malcontento sociale, con una notevole diminuzione dei diritti dei lavoratori, soppiantati da una manodopera a basso prezzo. Quella dell’immigrazione è, per il sottoscritto, la sfida che la politica dovrà affrontare nei prossimi anni, mettendo al centro le persone, perseguendo fini concreti e ambiziosi, ma con la consapevolezza che solo la collaborazione, la mutualità e il rispetto dei ruoli ci permetteranno di raggiungere quei risultati che i trentini ci chiedono.

Claudio Cia


 

Più che un giudizio, un pregiudizio

Non ho ben capito: lei fa l’esegesi del Vangelo per dare un’interpretazione diversa da quella che a quelle parole dà il nostro arcivescovo? Politicamente è tutto legittimo, ma mi pare che non ci sia proprio l’equivoco di cui lei parla: perché la Chiesa accoglie tutti. E se non accoglie tutti non è Chiesa. Quella ricerca, fra l’altro, parla un po’ di lei, caro assessore (regionale), perché in queste sue parole io trovo, più che un giudizio, un pregiudizio. Proprio quello di cui parla quello studio.

La Chiesa non è poi in competizione con la politica, anche se qualche volta - soprattutto ultimamente - ha dovuto esercitare, se così posso definirla, una funzione di supplenza, fornendo alcuni servizi che la Provincia ha deciso di bloccare o di tagliare. Lei fa la sua battaglia politica. E ci sta. Però ricordi sempre che se la sua battaglia politica cambia la percezione, non solo dei suoi elettori, ma anche di tutti gli altri trentini, allora non è più una battaglia politica: è un incendio che brucia accoglienza, pensieri, dati reali e molto altro. Il tema della sicurezza e il tema dell’immigrazione - questioni che non vanno mai confuse e messe insieme - ci sono, ma la Chiesa si occupa di questioni reali, dando una mano, mentre la politica tende viceversa a scaldare o a incendiari (o anche a spegnerli senza dare risposte chiare, intendiamoci) i pensieri. La soluzione è che camminiate insieme: voi politici, la Chiesa e noi cittadini, spesso influenzati dalle vostre parole più che dalle azioni virtuose della Chiesa. Un fatto resta, però: le soluzioni non stanno nell’allarmismo, ma nella capacità di immaginare il futuro.

a.faustini@ladige.it

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