L’eutanasia di Noa, un fatto impressionante

L’eutanasia di Noa, un fatto impressionante

La notizia dell’eutanasia di Noa è quanto meno una notizia impressionante nel senso che lascia molto perplessi. Non tanto perché la ragazza abbia chiesto di morire, ma perché le è stato concesso. L’Olanda è un Paese dove vige una grande tolleranza: lo si vede con la legalizzazione delle droghe e della prostituzione. Questo però è un precedente molto grave perché più che un procedimento centrato sul bisogno della persona come dovrebbe essere un intervento medico sembra un film horror.

Non conosco la storia di Noa personalmente perciò non voglio tranciare giudizi, ma a primo impatto mi dà orrore e un senso di grande disagio. Noa soffriva di depressione e anoressia da molti anni, a causa di due violenze sessuali subite da bambina: i vari ricoveri non erano serviti. Nelle ultime ore di vita, aveva scritto in un post: «In questo caso, amare è lasciare andare». Io non sono d’accordo, perché la ragazza soffriva di una patologia psichica, la depressione, molto pesante per cui poteva avere un pensiero distorto.

Un desiderio di morte condizionato dalla malattia. Ma ciò che è discutibile è che una ragazza malata neppure maggiorenne venga lasciata a sé, al suo dolore o, come in questo caso, “le venga concesso di morire”. Secondo il mio punto di vista consentire quanto successo a Noa è una cosa molto grave. Condivido in pieno le parole di Papa Francesco e della Pontificia Accademia della Vita che ha scritto «La morte di Noa è una grande perdita per ogni società civile e per l’umanità. Noi dobbiamo sempre affermare le ragioni positive per la vita».
È un orrore una cosa del genere, una situazione che un medico non può accettare, soprattutto in una situazione come quella di Noa: una giovane che ha una psicopatia che potrebbe col tempo cambiare la visione della propria vita e che soprattutto potrebbe essere aiutata a farlo. Invece, acconsentire a quello che di fatto è un suicidio è una cosa che mi lascia molto perplesso e addolorato. Io penso che si sarebbe potuto fare di più per salvarle la vita.

Edoardo Rossi - Trento


 

Una morte che fatichiamo a capire e a sopportare

Confesso che fatico ad emettere giudizi netti su una vicenda che, al di là dei fiumi d’inchiostro che ci sono piovuti addosso, conosciamo tutti poco. Ho cercato di capire Noa soprattutto attraverso le parole dei genitori - che nelle interviste che hanno concesso non mi sono sembrati né sprovveduti né insensibili - e di un’amica che le è stata vicina fino all’ultimo, ma so - sappiamo - davvero troppo poco di lei, degli stupri che le hanno impedito di vivere, del dolore dell’esistenza che si portava nel cuore, delle leggi olandesi, dei medici che l’hanno tenuta per mano in una vita straziante ancor più che nel momento - per noi inconcepibile oltreché incomprensibile - del trapasso.

Conosciamo invece tutti il drammatico finale: una morte inaccettabile. Persino assurda. Un decesso che fatichiamo a capire e a sopportare. Ma non sappiamo nulla di ciò che a quel decesso ha portato. Anche se tutti pensiamo che quella morte si sarebbe potuta e dovuta evitare. Sono lieto di vivere in un Paese diverso, anche se è un Paese che fatica ad affrontare questi temi con un approccio giuridico e non solo emotivo, ma nel disagio che anch’io, come lei, provo, restano troppe domande. Perché Noa, morendo (anche se preferirei dire lasciandosi morire, alla luce di quanto è emerso dopo le prime notizie), s’è portata via le domande e le risposte, il grido e il silenzio, ciò che non ha potuto denunciare e ciò che ha dovuto subire.

E mi chiedo quante Noa fatichino a vivere mentre noi fatichiamo a vedere e a capire la loro malattia, il loro dolore, i confini che legano i disagi alimentari a quelli mentali.

E mi rispondo che dobbiamo costruire sulla morte di Noa una nuova consapevolezza, cercando di andare al di là di notizie incomplete per trovare nuove cure, nuove parole, nuovi approcci, ma forse anche nuove leggi.

a.faustini@ladige.it

comments powered by Disqus