Infascelli, la vita di Minichiello fra morti e rinascite

(ANSA) - ROMA, 26 FEB - Un'incredibile storia vera molto poco conosciuta: è quella di Raffaele Minichiello, nato in Irpinia e cresciuto negli Usa, protagonista il 31 ottobre 1969 un giorno prima del suo 20/o compleanno, del dirottamento di un aereo della Twa partito da Los Angeles e diretto a San Francisco. Minichiello chiede di essere portato in Egitto, ma la meta finale sarà Roma, per quello che risulta il dirottamento più lungo della storia dell'aviazione. A dedicargli un ritratto è Alex Infascelli con il documentario Kill me if you can, che dopo il debutto alla Festa del cinema di Roma, arriva in sala con un'uscita evento dal 27 febbraio al 1 marzo con Wanted. "Sono molto felice che il film arrivi nei cinema, questo fra i miei documentari (S Is for Stanley', su Emilio D'Alessandro, l'autista italiano di Stanley Kubrick, film non fiction premiato con il David di Donatello e Mi chiamo Francesco Totti, vincitore del Nastro d'argento) è in assoluto il più cinematografico", spiega all'ANSA Alex Infascelli, regista versatile che ama variare fra i generi e i formati. "Quando ho saputo della storia di Raffaele la prima cosa che ho pensato è stata: 'Eccone un altro che cerca un padre o vuole gratificarlo'. Per Emilio D'Alessandro è stato Kubrick, per Francesco Totti è stato il papà Enzo. Per Raffaele i padri sono più di uno, il suo biologico, l'America e Dio a cui si rivolge da un certo punto della sua vita in poi per cercare risposte". Kill me if you can (Prodotto da Fremantle Italia e The Apartment, con Rai Cinema) unisce al filo rosso del racconto di Minichiello (una vicenda che pare sia stata in parte d'ispirazione a Stallone per la sceneggiatura di Rambo, ndr), un signore sorridente e garbato che trasmette un mistero, le testimonianze fra gli altri, di due dei tre figli, di amici ex soldati, altri protagonisti della vicenda, compresa una delle hostess su quel volo della Twa. Si ripercorre così il tragitto di Raffaele, emigrato con la famiglia negli Usa a inizio anni '60 dopo il terremoto in Irpinia. Vittima di bullismo e razzismo da adolescente ("Mi chiamavano mafioso, ma io cosa fosse la mafia l'ho imparato negli Usa"), si arruola a 17 anni e mezzo per combattere nel conflitto in Vietnam, anche per sentirsi parte del suo nuovo Paese. Il trauma della guerra ("probabilmente aveva una sindrome da stress post traumatico, termine che allora non esisteva" dicono gli ex commilitoni) e uno scontro per motivi burocratici con l'esercito Usa lo portano a compiere il gesto estremo del dirottamento. Arrestato al suo arrivo in Italia, viene processato nel nostro Paese e fra vari sconti di pena resta in carcere solo un anno e mezzo. Inizia così la seconda parte della sua vita, per gran parte in Italia, fra due matrimoni, tre figli, improvvisi lutti, l'avvicinamento alla religione e i silenzi intorno alla possibilità che ha avuto di tornare negli Usa, dove il suo dossier è stato secretato dalla Cia. "La vita di Raffaele è un collier di eventi incredibili che lo mettono alla prova, un continuo morire e rinascere come succede con le migliori anime" aggiunge il cineasta. E' una persona "di un'umanità impressionante è quella la prima cosa che ti colpisce. Ci si accorge del suo lato buio proprio perché la sua parte positiva risplende così tanto. Il suo sguardo è presente, ha una grande simpatia, è molto generoso, non si tira mai indietro - sottolinea Infascelli che ora è al lavoro su una serie documentaria ancora top secret, legata alla musica, l'altra grande passione del regista -. Questo aspetto probabilmente è stato usato da forze, entità, poteri, persone che hanno sfruttato il suo coraggio e la sua irruenza, il suo voler essere in prima linea". Essendosi speso "in maniera così totale, ha subito dei danni. E' un essere umano ancora alla ricerca di se stesso, e non lo nasconde, ne' vuole mostrarsi risolto. Io so di lui ho lasciato le domande aperte, non c'è una verità assoluta". (ANSA).