I cronisti, le parole da non usare mai sulla violenza alle donne

(ANSA) - MILANO, 23 NOV - Sul rapporto tra Informazione e violenza di genere è quanto mai necessario stare attenti alle parole da non usare. Un linguaggio rispettoso e consapevole, che faccia piazza pulita di luoghi comuni, pregiudizi e stereotipi maschilisti e patriarcali, può diventare un fondamentale strumento di crescita civile e dare un contributo alla battaglia contro i femminicidi. E' con questo obiettivo che le due maggiori organizzazioni di cronisti - il Sindacato cronisti romani (Scr) e il Gruppo cronisti lombardi (Gcl) - annunciano l'adesione alla Giornata internazionale contro la violenza sulla donna del 25 novembre 2023 e lanciano un video-decalogo contenente alcune delle principali espressioni da bandire nei resoconti giornalistici su femminicidi, stupri, molestie e ogni altro genere di soprusi. Lo si può scaricare al link: https://bit.ly/3Gf59Ps Il decalogo - che si pone in linea con il Manifesto di Venezia, varato nel 2017, su come raccontare la violenza di genere - contiene le espressioni usate con maggiore frequenza da stampa ed emittenti radio-radiotelevisive, che di fatto forniscono alibi o indiretta giustificazione all'autore di un femminicidio: si va da "in preda a un raptus" (locuzione fuorviante, in quanto esclude la premeditazione) ad "amore criminale" (chi uccide non ama); da espressioni come "delitto passionale" e "accecato dalla gelosia" (il piano sentimentale non deve diventare esimente), alle varie qualificazioni della vittima ("estroversa", "vivace", ecc.) e alle sue attività precedenti l'evento ("aveva bevuto", "passeggiava da sola", ecc.), spesso utilizzate in seguito dalla difesa a fini processuali, fino all'uso pleonastico degli aggettivi possessivi ("la sua fidanzata", "sua moglie"). (ANSA).