Ciclismo: non solo Ganna, paradosso Italia che chiede pista

(ANSA) - ROMA, 15 OTT - L'impresa di ieri di Filippo Ganna ai mondiali in Francia è solo l'ultima in ordine di tempo. L'Italia del ciclismo su pista è sul tetto del mondo, al femminile come al maschile eppure sembra un paradosso in un Paese alle prese con una endemica crisi impiantistica. C'è un'Italia che pedala e, sulle piste di ogni dove, continua a conquistare successi in serie. E c'è un'Italia che langue, pedalando invece in controtendenza e attirandosi gli strali di tesserati e sportivi in genere: è quella degli impianti, la cui penuria è un argomento che ricorre ciclicamente, ma non riesce a trovare concrete risoluzioni. Il paradosso sta nel periodo delle vacche assai grasse che vive il ciclismo su pista azzurro, che stride grossolanamente con quello della mancanza di strutture dove poter praticare questo tipo di disciplina. La situazione dei velodromi italiani è poco edificante e procede di pari passo con quella dell'impiantistica in generale. La Federciclismo sta cercando di percorrere diverse strade, per migliorare quantomeno il panorama, anche se non è facile. "Attualmente esiste solo un velodromo al coperto in Italia - spiega Silvio Martinello, un oro olimpico e cinque iridati su pista, oggi dirigente e commentatore tv, ma soprattutto profondo conoscitore della piaga dell'impiantistica -. Parlo del velodromo di Montichiari (Brescia), una struttura coperta che è a disposizione della Federciclismo grazie a una deroga, dal momento che l'impianto è sottosequestro. In Italia esistono una trentina di velodromi, ma si tratta di impianti scoperti, alcuni dei quali resi inagibili dall'incuria. Il paradosso, clamoroso, sta nel fatto che noi siamo ormai diventati un Paese di riferimento nel ciclismo su pista e questo nonostante non vi sia un impianto coperto di utilizzo generale". Uno dei nodi più complessi è quello del velodromo di Lovadina di Spresiano, nel Trevigiano, dove è prevista la costruzione di un impianto coperto nuovo di zecca. I lavori, però, si sono interrotti a causa dei costi del materiale, che sono lievitati in modo spropositato, frenando la ripartenza. Lo stesso impianto di Montichiari è tornato a disposizione degli atleti azzurri dopo la ristrutturazione del tetto e della pista. Le altre strutture, a cominciare Vigorelli di Milano, sono all'aperto e non hanno nulla da dividere con impianti di cui godono Paesi come la Gran Bretagna o l'Australia: in quei casi l'osmosi strada-pista, è diventata imprescindibile per lo sviluppo di tutto il movimento. "L'altro paradosso - aggiunge Martinello, da esperto di cose della pista - è che non esiste attualmente un'attività vera e propria, solo in alcuni casi i comitati locali organizzano un'attività regionale. A livello nazionale, però, non si va oltre i Campionati italiani. Ai miei tempi di attività ce n'era tanta e anche quand'ero in Federazione ho cercato pianificarla". Restano i successi degli azzurri grazie al loro talento e "ai meriti dei tecnici", sottolinea Martinello. "Adesso - rileva - è rimasto Villa che ha la capacità e l'intelligenza di coinvolgere atleti di qualità: prima Viviani e adesso Ganna. La mancanza di impianti in Italia, tuttavia, è un problema che non riguarda solo il ciclismo. Mi chiedo perché non si sfruttino questi periodi contrassegnati dalle vittorie per investire. I successi devono essere la forza trainante di un movimento sportivo". L'anello olimpico di Roma Eur (disegnato da Cesare Ligini a fine anni '50 e destinato a ospitare i Giochi del 1960) è stato fatto brillare pochi mesi prima di venire tutelato dal vincolo della sovraintendenza come bene di interesse architettonico (era il 2008). Al suo posto doveva nascere l'ennesimo centro commerciale, adesso è rimasto un buco e Roma resta così l'unica capitale senza velodromo. (ANSA).