Enologia / I numeri

Trentodoc brinda a 13 milioni di bottiglie. Il presidente Zanoni: “Ora l’obiettivo è arrivare ai 20 milioni”

La domanda di bollicine è cresciuta del 7 per cento. In ascesa i Millesimati (fatti con uve di una singola vendemmia), che raggiungono il 12 per cento

VINITALY Vendite, i dati del 2022

di Daniele Battistel

TRENTO. Ha superato i 13 milioni di bottiglie la produzione 2022 di Trentodoc con una crescita superiore all'8 per cento rispetto al 2021. I dati, certificati dall'Osservatorio dell'Istituto Trento Doc sono stati resi noti durante la presentazione della seconda edizione del Festival Trentodoc. Un consolidamento, quello dell'ultimo anno, che fa seguito ad un biennio davvero... frizzante per le bollicine di montagna, che durante il periodo 2020-2021 hanno visto crescere in doppia cifra la produzione raggiungendo un fatturato complessivo di circa 180 milioni di euro.

«I dati dimostrano lo stato di ottima salute della produzione Trentodoc, che trova sempre più spazio nel mercato italiano, ma anche in quello straniero, specialmente in Asia e in America» spiega il presidente dell'Istituto Trentodoc, Enrico Zanoni. La domanda di bollicine è cresciuta del 7 per cento. In ascesa i Millesimati (fatti con uve di una singola vendemmia), che raggiungono il 12 per cento.

Quali sono le prospettive?

«Positive perché il mercato delle bollicine, a differenza del vino fermo, ha ancora un trend di crescita. Nello specifico la denominazione Trentodoc in termini di affermazione e notorietà è in forte crescita; la distribuzione del prodotto non ha saturato le possibilità offerte dal mercato. Quindi ci sono spazi per le aziende, specialmente le medio-piccole, per valorizzare i loro prodotti».

Non si può crescere all'infinito.

«Ovviamente no, ma spazi di crescita di sono, con un limite che è legato al territorio, alla qualità e al cercare di mantenere uno standard di assoluta eccellenza».

Negli ultimi 10 anni la produzione è raddoppiata. E per i futuri 10?

«Dipenderà da tanti fattori, in primi dall'evoluzione della superficie vocata. Credo che il raddoppio non sia fattibile, ma una crescita che ci possa portare nell'intorno dei 20 milioni di bottiglie sia qualcosa di potenzialmente ragionevole. Il tema principale, però, deve essere quello di mantenere un alto standard di qualità».

Il mercato del vino fermo, in modo particolare del rosso, sembra inesorabilmente in frenata. Per mantenere elevati redditi, tanto per i soci delle cantine cooperative, quanto per le piccole aziende private, è verosimile lo spostamento delle superfici vitate da impianti a bacca rossa verso uve bianche, tipo Chardonnay e Pinot nero, basi per il Trentodoc?

«In parte sì, ma ovviamente nel rispetto delle caratteristiche pedoclimatiche che devono avere i vigneti di Chardonnay e Pinot nero che saranno messi a dimora. Questo, però, non necessariamente risponde ai problemi di mercato di certi vini rossi perché non è detto che sia fattibile il cambio tra vigneti a bacca rossa e vigneti a bacca bianca, sempre in ragione delle condizioni fisiche del terreno, dipendenti da temperatura, umidità, eccetera».

Rispetto ad un mercato del vino fermo che sembra mostrare qualche difficoltà, quali le strategie per mantenere il valore della produzione?

«In primis non scordiamoci che la superficie vitata del Trentino è per quasi il 75 per cento a bacca bianca, che soffre meno, e per il 25 per cento a bacca rossa. Già questo ci fa stare meglio rispetto ad altri territori. Secondariamente, i vini rossi non andranno a scomparire. Anzi, ricordiamoci che si avanza per cicli ed è possibile che tra qualche anno ritornino in auge. Personalmente ritengo che l'attuale superficie vitata del Trentino, pari a circa 10mila ettari, sia correttamente dimensionata. Credo che un ampliamento eccessivo non avrebbe molto senso. Meglio rimodulare le percentuali di coltivazioni: indicativamente un ulteriore 10-15 per cento della superficie attuale può cambiare vitigno andando verso qualità che hanno maggiori possibilità di valorizzazione sul mercato».

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