Alcol / La polemica

I produttori trentini contro la scelta irlandese: «Non trattate il vino come le sigarette»

Dublino ha ottenuto dall’Unione Europea il via libera per applicare l’etichetta "alert sanitari” sulle bottiglie, obbligando gli importatori a specificare che il vino fa male alla salute

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di Daniele Battistel

TRENTO. «La scelta della Commissione europea di mandare avanti il progetto di legge irlandese sugli health warnings ("avvisi sulla salute") sulla pericolosità del vino ci lascia davvero sconcertati».

Luca Rigotti, presidente del Gruppo Mezzacorona e coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari attacca la decisione irlandese di voler introdurre una normativa per obbligare i produttori di vino che esportano sull'isola ad apporre sulle etichette l'indicazione che il vino fa male alla salute.

Un po' come avviene per le sigarette. «L'Irlanda è andata a ledere e a mettere in discussione i principi del mercato unico, nel cui perimetro è disciplinato il settore vitivinicolo e che dovrebbe garantire, tramite l'Ocm (Organizzazione comune di mercato), un'applicazione comune, dei principi e delle regole europee in tutti gli Stati membri».

«Al di là dell'effetto che ci potrà essere la cosa che più mi sbalordisce è proprio il fatto che si mettono in discussione i principi fondamentali del mercato unico, ovvero il fatto che valgono le stesse regole: in questo caso l'Irlanda ha fatto un passo avanti pericoloso» continua Rigotti. Che poi entra anche nel merito: «In sostanza il vino, che è un prodotto agricolo dalla tradizione millenaria, da sempre sulle tavole dei Paesi mediterranei, viene caratterizzato come nocivo alla salute alla stregua del tabacco, senza alcuna distinzione in relazione alle quantità e alle modalità di consumo. È esattamente l'approccio contro il quale ci eravamo battuti, come organizzazione e come Paese, nella redazione del Piano europeo di lotta contro il cancro, e che invece la Commissione ha lasciato, in maniera arbitraria, prevalere: un approccio ideologico e mistificatorio che non differenzia tra abuso e consumo consapevole».

«Il vino - è la tesi che portano avanti Rigotti e i produttori trentini - è un alimento, che va consumato al pasto, con moderazione e non bevuto indiscriminatamente. L'approccio con il quale ci muoviamo è quello del consumo consapevole. Qui invece si lascia prevalere un approccio ideologico, di fondamentalismo, senza porre la differenza tra uso moderato e abuso. Non siamo per privilegiare l'economia a scapito della salute: i problemi alcol-correlati vanno risolti con educazione e l'insegnamento di sane abitudini, non con il proibizionismo».

Che faranno i produttori? «Ci batteremo perché non ci siano altre fughe in avanti e ribadiremo la centralità dell'Ocm».«Sicuramente è un passaggio che pone dei problemi al settore - interviene Pietro Patton, presidente del Consorzio di tutela dei vini trentini, nonché senatore della Repubblica - è sbagliato dire che il vino fa male: è sempre stato considerato parte della dieta mediterranea e tutte le aziende produttrici sostengono la necessità di consumi moderati e responsabili, non come mezzi per lo sballo. Il problema in sé riguarda i superalcolici e la birra.

Dal punto di vista politica Patton spiega che l'Italia dovrà muoversi «anche se queste sono decisioni a livello comunitario, come la questione del semaforo che si vuole appiccicare ai prodotti in base a certi parametri: così facendo metà della produzione italiana Doc e di qualità, riceverebbe il semaforo rosso. Assurdo. Credo che la standardizzazione e la gestione burocratica del settore alimentari a livello europeo stiano creando eccessivi problemi».

Per Mario Pojer dei vignaioli «è un argomento molto delicato. Chiaro che il vino va consumato con moderazione, ma scrivere certe cose sull'etichetta diventa pesante e pericoloso».

«I fatti di oggi - spiegano presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi e il direttore di Cavit Enrico Zanoni - segnano uno scenario paradossale e ingovernabile, fatto di una babele di etichette all'interno dell'Unione europea che purtroppo non risolvono il problema dell'alcolismo, che dovrebbe essere basato su un approccio responsabile nei consumi di prodotti molto diversi tra loro».

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