La ripartenza delle fabbriche 8mila metalmeccanici al lavoro

di Francesco Terreri

C’è pressione per far ripartire l’industria, con tutte le misure di sicurezza dettate dalla crisi del Coronavirus. Ma buona parte delle fabbriche si è già rimessa in moto. Non solo quelle dei settori definiti essenziali, ma anche le aziende che hanno potuto dimostrare di essere collegate come fornitori e come filiera ai settori essenziali. Sono 1.400 le deroghe sulle attività produttive date dal Commissario del governo. Nel solo settore metalmeccanico, il comparto di punta della manifattura e dell’export, più della metà delle aziende erano già al lavoro, anche se molte a ranghi ridotti. Con le nuove aperture di questa e della prossima settimana, si salirà al 60-70% degli addetti, circa 8.000 sui 13 mila del ramo.

Tra le grandi imprese, la Fly di Grigno, settore aerospaziale quindi strategico, lavora già da settimane. La Siemens Transformers di Spini e la Coster di Calceranica hanno alcune produzioni ammesse perché essenziali. Questa settimana hanno riaperto l’acciaieria di Borgo Valsugana del gruppo Acciaierie Venete e la Sandvik di Rovereto. Lunedì ripartono la Dana di Arco, anche se non ancora quella di Rovereto, la Pama di Rovereto, la Dalmec di Cles. E naturalmente con le grandi aziende si rimette in moto la filiera delle piccole.
«Tante imprese gradualmente hanno aperto in modo parziale per attività legate alla filiera - afferma Manuela Terragnolo della Fiom Cgil - Il decreto del governo dava in realtà uno spazio enorme, anche troppo.

Lunedì riapre la Dana di Arco perché produce assali per i trattori, quindi per la filiera agricola. Lavorerà un terzo circa dei 300 operai, oltre ai 150 impiegati che operano già in smart working. Dana Rovereto invece non apre perché produce per il movimento terra, settore non essenziale». Sono tornati al lavoro anche i 100 addetti di Acciaierie Venete e una parte dei 120 della Sandvik.

Ma com’è la situazione della sicurezza? «Da settimane i nostri delegati stanno lavorando sui protocolli di sicurezza - sottolinea Terragnolo - C’è da organizzare un diverso modo di lavorare, entrate e uscite, i dispositivi di protezione come le mascherine, il ristoro, la mensa, dove si prevedono tempi di apertura più lunghi per dilazionare le presenze e posti ai tavoli distanziati». Poi c’è il problema delle persone a rischio. «I lavoratori con fragilità per ragioni di salute restano a casa in cassa integrazione. Ma anche, per sicurezza, chi ha nel proprio nucleo familiare persone che lavorano in ospedale o in casa di riposo, come sanitari o come pulizie o come volontari del soccorso». Gran parte delle aziende ha chiesto in ogni caso la cassa integrazione per coprire i dipendenti che restano a casa.

«Guardia di Finanza, ispettorato del Lavoro, Uopsal hanno fatto molti controlli ma non risultano violazioni gravi - conferma Paolo Cagol della Fim Cisl - Queste sono due settimane di svolta per le riaperture. Nelle grandi aziende il livello di attenzione al protocollo per la sicurezza è totale». Del resto, al sindacato risultano pochissimi casi di contagi nelle fabbriche e comunque nessun focolaio. Resta però, rimarcano sia Terragnolo che Cagol, il problema delle piccole imprese e delle ditte artigiane dove il sindacato non è presente e le regole di sicurezza potrebbero essere meno osservate.

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