Ruoli di vertice, per le donne trentine un tabù

di Patrizia Todesco

Ogni anno, in Trentino, 300 donne lasciano il lavoro per le difficoltà che incontrano a conciliare gli impegni familiari con quelli lavorativi. Altre 600 fanno la stessa scelta in Alto Adige. Basta questo dato per capire come, su molti fronti, le politiche conciliative non abbiano raggiunto tutti gli obiettivi. Se a questo si aggiunge che per le donne è più difficile entrare nel mondo del lavoro, ricoprire ruoli di vertici, essere elette in Cda o consigli sindacali, essere elette sindaci, consigliere o assessore o avere cure ad hoc per il genere femminile è evidente che le diseguaglianze di genere siano ancora molto evidenti.

Il quadro della situazione è stato dato nel corso degli Stati generali delle donne del Trentino Alto Adige, l'incontro che si è svolto in Regione. Promosso dalla coordinatrice regionale, Claudia Gasperetti, nonché coordinatrice del Comitato per l'imprenditoria femminile della Camera di commercio di Trento (Cif), l'iniziativa segue quella avviata a livello nazionale con lo scopo di partecipare con tutti i territori italiani alla «Conferenza mondiale delle donne, Pechino vent'anni dopo» in programma a Expo dal 26 al 28 settembre, per attirare l'attenzione sulla condizione lavorativa della donne in Italia.

Isabella Speziali, dell'osservatorio del mercato del lavoro, ha snocciolato i dati 2014 sull'occupazione in Trentino. Il tasso di occupazione maschile è del 73,4%, quello femminile del 58,4%. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, quella maschile è del 6,1% e quella femminile dell'8%. Le donne fino a 64 anni che lavorano in provincia di Trento sono circa 100 mila. Se il tasso di occupazione fosse quello dei maschi sarebbero impiegate 25.000 mila donne in più. Ad essere penalizzate nel mondo del lavoro sono soprattutto le donne con titolo di studio più basso. La differenza di occupazione tra i due generi è infatti quasi minima per le laureate (82,3% nei maschi e 79,5% nelle femminile) ed è massima per chi si è fermata alle scuole elementari o medie (59,1% contro 34,7%). La dottoressa Speziali ha posto l'attenzione anche sulle scelte scolastiche delle donne, spesso poco propense a scegliere indirizzi scientifici che invece danno maggiori sbocchi lavorativi.

E se è difficile lavorare, al di là di lauree, esperienze e competenze, per le donne sembra quasi un'impresariuscire ad arrivare ai vertici. Nel 2013, tra i dirigenti pubblici, del Trentino 2.800 erano uomini e 800 donne; nei quadri dirigenziali, gli uomini scendono di quota con 6.330 unità, mentre le donne salgono a 6.500. Il sorpasso vero tra i generi si ha tra gli impiegati e gli operai. Tra gli impiegati le donne sono il 71% e tra gli operai il 65,2%.

Per Isabella Speziali c'è un unico modo per cambiare questi numeri, per fare in modo che le donne possano ambire a ruoli di vertici. È quello di cambiare i criteri di valutazione. Mentre fino ad ora è sempre stata la presenza sul luogo di lavoro a premiare, dunque sposando il binomio che più uno è presente e più fa (criterio penalizzante per le donne), si dovrebbe invece imparare a valutare il risultato raggiunto, indipendentemente dal tempo impiegato.

Numeri ancora bassi in tema di rappresentanza femminile anche nel mondo imprenditoriale.

Il Trentino è la pecora nera a livello nazionale con 8.933 imprese femminili, il 17,4% di quelle registrate rispetto a una media nazionale del 21,6%. Unico dato positivo è il trend in aumento: un 1% negli ultimi sei anni. I settori più rappresentati - ha spiegato Claudia Gasperetti, coordinatrice del comitato promozione imprenditoria femminile della Camera di commercio - sono il commercio con un 22%, l'agricoltura col 20% e poi il settore alberghiero e della ristorazione. Secondo i dati del secondo trimestre ci sono state 176 nuove iscrizioni e 109 cessazioni.

Piccoli segnali che qualcosa sta cambiando e le donne, in questo, non stanno con le mani in mano. A breve, ad esempio, sarà organizzato un corso dal titolo «Più donne nella stanza dei bottoni» al quale potranno partecipare coloro che ambiscono ad entrare in consigli di amministrazione. L'incontro di ieri, che a visto la realtà altoatesina e quella trentina a confronto, è stata l'occasione anche per parlare di come le aspettative dopo le nascite dei bambini da parte degli uomini siano ancora un tabù. La cosa incredibile - spiega Silvia Vogliatti, vicedirettrice Afi Ipl istituto promozione lavoratori Bolzano - è che l'Italia è l'unico paese dove gli uomini, dopo la nascita di un figlio, lavorano più di prima.

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