Debito pubblico italiano in calo Per i paesi in crisi erogati 60 miliardi

Il debito delle amministrazioni pubbliche è sceso a dicembre di circa 26 miliardi rispetto al mese precedente portandosi a 2.134,9 miliardi. Lo comunica Bankitalia nel Supplemento al Bollettino statistico sulla finanza pubblica. A fine 2013 il debito era pari a 2.068,7 miliardi (127,8 per cento del pil).

L’aumento del debito nel 2014 (66,2 miliardi), sottolinea Bankitalia, è stato di poco superiore al fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (65,8 miliardi). Gli scarti e i premi di emissione hanno contenuto il debito per 8,7 miliardi, compensando quasi interamente l’incremento determinato dalla crescita delle disponibilità liquide del Tesoro (8,6 miliardi, a 46,3) e dalle variazioni dei cambi (0,5 miliardi).

Sul fabbisogno, viene messo in evidenza, ha inciso per 4,7 miliardi il sostegno finanziario ai paesi dell’area dell’euro (13 miliardi nel 2013). Complessivamente nel quinquennio 2010-14 il contributo italiano al sostegno ai paesi dell’area dell’euro è stato pari a 60,3 miliardi: sono stati concessi prestiti bilaterali alla Grecia per 10 miliardi nell’ambito del primo programma di aiuti; il contributo al capitale dello European Stability Mechanism (ESM) è stato pari a 14,3 miliardi (2,9 nel 2014); la quota di pertinenza dell’Italia degli aiuti erogati dallo European Financial Stability Facility (EFSF) è stata pari a 36 miliardi (1,8 nel 2014). Di questi ultimi, 27,2 miliardi sono stati concessi alla Grecia nell’ambito del secondo programma, 5,2 al Portogallo e 3,5 all’Irlanda.

[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"188856","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"931","width":"741"}}]]

Fin qui il debito, passiamo all’economia. Quella italiana non arretra più. Una piccola consolazione, visti i contemporanei risultati di partner europei come la Germania, ma pur sempre una consolazione. Considerando soprattutto che, ormai all’unanimità, il 2015 è visto come l’anno di svolta, quello che dopo tre annualità consecutive di contrazione, dovrebbe segnare il vero inizio della ripresa.

Secondo le prime stime dell’Istat, nel quarto trimestre del 2014 il Pil è rimasto fermo. La variazione rispetto al trimestre precedente è stata pari a zero, segnando di fatto uno stop della recessione in cui l’Italia era incappata ancora nel corso dell’anno. L’inversione di tendenza e l’uscita ufficiale, tecnicamente intesa, dalla fase recessiva non c’è stata, ma il segnale resta benaugurante.

A guardar bene, la variazione congiunturale nulla calcolata dall’Istituto di statistica per il quarto trimestre 2014 è comunque effetto di un arrotondamento. In base ai valori assoluti del prodotto interno lordo, si registra infatti un calo di circa 70 milioni di euro rispetto al trimestre precedente.

[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"188851","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"852","width":"1266"}}]]

Tuttavia, proprio per effetto degli arrotondamenti, e delle revisioni, anche minime, dei dati precedenti, la differenza si annulla. In termini assoluti, dal 2011 ad oggi, da quando cioè l’Italia ha smesso di crescere, l’economia italiana ha comunque perso oltre 70 miliardi di euro. L’effetto appunto, evidente ormai nell’economia reale, di tre anni e mezzo di caduta del valore aggiunto che non si è arrestata in media nemmeno nel 2014, chiusosi, in base alle stime preliminari a -0,4%.

Un cambio di passo negli investimenti e nei consumi, secondo gli analisti, non si è infatti ancora concretizzato. Quello che si è verificato nell’ultima parte dell’anno è che l’indebolimento dell’euro ha spinto le esportazioni, controbilanciando le difficoltà interne. La stessa lettura viene data anche dall’Istat: tra ottobre e dicembre dal lato della domanda si è registrato «il contributo negativo della componente nazionale, compensato da un apporto positivo della componente estera netta».

L’eredità lasciata per il 2015 è di un effetto negativo non drammatico dello 0,1%. Basterebbe poco, nel primo trimestre di quest’anno per ribaltarlo. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva parlato solo pochi giorni fa di possibili «sorprese positive». E tutti gli osservatori sono concordi nel prevedere che l’ulteriore svalutazione della moneta unica, sommata al quantitative easing della Bce, al graduale avvio del piano Juncker sugli investimenti e al calo del prezzo del petrolio, porteranno effetti positivi per tutta l’Eurozona e, sia a livello diretto che di rimando, anche sull’Italia, che resta comunque ancora ai margini dell’Unione (peggio di noi in Eurolandia hanno fatto nel quarto trimestre solo Cipro, Finlandia e Grecia).

«La ripresa è tutta da costruire ma oggi ci sono circostanze particolarmente favorevoli per fare del 2015 un anno di crescita di dimensioni non trascurabili», sottolinea Confcommercio, cui fa da contraltare Confesercenti: «lo scenario che si prospetta contiene il rischio di una nuova ed eventuale regressione dei consumi. Saremmo allora in presenza di un ulteriore disastro per l’occupazione», teme l’associazione. La Cgil parla invece di sette anni di errori nelle previsioni macroeconomiche che hanno causato un ammanco rispetto alle stime di circa 300 miliardi. Secondo il sindacato la ripresa «non ci sarà».

[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"188836","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"665","width":"1053"}}]]

comments powered by Disqus