Senza stipendio dal mese di maggio

Quasi tutti hanno famiglia, figli, il muto per la casa da onorare. Tutti sono senza stipendio, e lo sono dal maggio dello scorso anno. È un vero e proprio dramma quello che stanno vivendo una quindicina di lavoratori della «Molinari srl Poltrone e Divani» di Tione, sul cui concordato preventivo si esprimerà il tribunale di Trento il prossimo 16 marzo. Un'azienda di eccellenza, votata all'innovazione e all'export, ma che negli ultimi anni ha patito i colpi ripetuti della crisi economica.

di Renzo Maria Grosselli

Il 16 marzo il Tribunale di Trento deciderà se per la Molinari srl Poltrone e Divani di Tione si potrà addivenire ad un concordato preventivo. Nel frattempo più di una ventina tra la cinquantina di lavoratori che l'azienda vantava sino a qualche anno fa, deve fare i conti con il problema di essere rimasto senza lavoro. In un periodo di crisi dai contorni difficilissimi. Quattro di loro sono cinquantenni, con ulteriori difficoltà di ricollocamento sul mercato del lavoro e più della metà sono donne. «Ma tutti o quasi abbiamo coniuge, figli e talvolta un mutuo sulla casa, senza entrate dal maggio del 2011. Stiamo lottando per la sopravvivenza».


Luigi Giovanelli, Barbara Bonazza e Giuseppe Camera  sono tre dipendenti della Molinari ma dicono di rappresentare «la quasi totalità dei colleghi». La loro azienda, raccontano, è nata nel 1987 lavorando sul design di alta qualità, anche con produzioni per conto terzi, grandi firme. Il massimo sviluppo l'azienda lo conobbe verso il 2000: «I dipendenti arrivarono ad essere 52 o 53». Barbara fu assunta nel 1995, Luigi nel 2000 e Giuseppe nel 2001. «Sempre ottimo - precisano - il rapporto con la proprietà. Fino a 7-8 anni fa abbiamo lavorato al massimo, non siamo riusciti nemmeno a capire bene come poi la situazione sia crollata».
La Molinari esportava molto in Germania, Belgio, Stati Uniti e Nord Europa. «I primi sintomi del crollo si ebbero a partire dall'11 settembre, dal crollo delle Torri gemelle a New York. Poi altri segnali nel 2003. La prima Cassa integrazione, poche ore a rotazione. Una cosa equa nei confronti di tutti». Ma poi, in progressione, l'azienda avrebbe percorso tutti i tristi passaggi della "crisi", con la necessità di ricorrere agli ammortizzatori sociali per l'integrazione del reddito dei dipendenti. «Eppure l'azienda si era sempre impegnata ad innovare, a fare ricerca, partecipava alle maggiori fiere del ramo, da Milano a Francoforte».


Nel 2006 i primi quattro licenziamenti. E dal 2008 il tracollo, dovuto alla deflagrante crisi mondiale: cassa integrazione seguita nel 2009 da un contratto di solidarietà in cui tutti i lavoratori decisero con la proprietà, pur di lavorare tutti, di farlo con orario minore e minore salario. «Le provammo tutte». Qualche lavoratore durante questo tragitto ebbe la fortuna di trovare un altro posto di lavoro, o di potersi pensionare. «Arrivammo ad un numero di circa 25 dipendenti. Dal maggio del 2010 una quindicina di noi finì in Cassa integrazione straordinaria a zero ore mentre gli altri continuavano col contratto di solidarietà».


Dal 17 maggio del 2011 quella quindicina di persone non riceve più nessun sostegno al reddito, né da parte dell'Inps e nemmeno da parte della Provincia. «Ora siamo in attesa di sapere del nostro destino». Altri 6-7 dipendenti lavorano invece alla Molinari con lavoro saltuario, da settembre con la difficoltà a ricevere un salario. Oltre allo scoramento tra i lavoratori serpeggia anche una certa rabbia: «I dipendenti - ci dicono i tre lavoratori - se ne sono stati zitti e buoni sinora anche perché l'azienda e il sindacato ci avevano garantito che l'azienda avrebbe chiesto il concordato preventivo. Doveva avvenire a settembre, poi si è scivolati e la richiesta è stata depositata a dicembre. Ora se passerà il concordato l'azienda potrebbe anche sopravvivere in qualche modo e in altra veste, altrimenti si arriverà al fallimento. Per noi il maggio scorso avrebbe dovuto scattare la Cassa integrazione in deroga. Ma per ragioni dovute al datore di lavoro e alla burocrazia provinciale non se ne è fatto niente. Quindi, se sarà fallimento, noi avremmo perso anche questa opportunità di integrazione del nostro reddito. Se il tribunale deciderà per il concordato invece i lavoratori potranno recuperare qualcosa».


Fin qui la vicenda lavorativa in sé. Ma dietro ci sono i risvolti sociali e psicologici, pesantissimi. «Dietro i lavoratori che non sono ancora riusciti a ricollocarsi ci sono storie di vita, di lotta e di sofferenza. Quattro o cinque di noi sono cinquantenni. E praticamente tutti abbiamo figli e dobbiamo lottare per la sopravvivenza». Vite ordinarie che però oggi si svolgono nella straordinaria precarietà. «Per più della metà si tratta di donne. - dice Barbara Bonazza - Io compio 40 anni, ho due figli. Mio marito per fortuna lavora ma è un dipendente, non grandi guadagni. Io da un anno e mezzo sono a casa, soffro di ansia e sono dimagrita. Non mi spaventa un nuovo lavoro ma è difficilissimo trovarlo». Luigi Giovanelli lavora da 32 anni, ha moglie e due figli: «Da 8 mesi non porto a casa nulla. Ho fatto varie domande di impiego ma nulla. Mia moglie lavora, è commessa, ma non basta per la famiglia. Io mi sento male. Le prospettive a 49 anni? Un drammatico punto interrogativo». Anche Giuseppe Camera è cinquantenne: «Non dormi alla notte. - dice - Vai a letto pensando al lavoro e ti alzi con lo stesso pensiero. Ti senti mancare la dignità, ti guardi allo specchio e non ti riconosci più. Un essere umano in questi frangenti rischia di perdersi».

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