Musica / Intervista

Pfm a Trento: "Ecco perché dopo 45 anni è intatta la magia del nostro tour con Faber"

Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, anime storiche della Premiata Forneria Marconi, raccontano l'incontro con Faber e le emozioni del live “Pfm canta De André Anniversary”, atteso oggi, mercoledì 17 aprile, a Trento in un Auditorium già sold out

 

di Fabio De Santi

TRENTO. "La nostra tournée è stata il primo esempio di collaborazione tra due modi completamente diversi di concepire e eseguire le canzoni”. Così Fabrizio De Andrè sul tour che quarantacinque anni aveva intrecciato la sua musica a quella di una delle più importanti rock band italiane.

Oggi la Pfm ripropone le atmosfere di quei live storici, nello spettacolo “Pfm canta De André Anniversary”, nel tour che stasera, mercoledì 17 aprile, sarà sul palco dell’Auditorium di Trento.

Ne abbiamo parlato con due delle anime storiche della formazione milanese: il batterista e cantante Franz Di Cioccio e il bassista Patrick Djivas.

Ad accogliervi a Trento l’ennesimo sold out per un tour che sta conquistando il pubblico: vi aspettavate questo successo?

Di Cioccio: “Siamo bravi (sorride compiaciuto il batterista, ndr). Facciamo le cose che ci piacciono e vediamo che le cose che ci piacciono prendono molto bene le persone. Quando la Pfm fa le cose le fa in un certo modo, anche con una parte letteraria, raccontando storie belle, anche sul momento in cui ha intrecciato il suo cammino con quello di un artista unico come Fabrizio De Andrè”.

Djivas: “Da un certo punto di vista sì, perché ogni volta che proponiamo La Pfm canta De Andrè è sempre così ed è anche abbastanza logico perchè ci sono tanti giovani che scoprono ora Fabrizio e che non erano neanche nati quando abbiamo fatto quel lavoro, è un bacino di utenza che si rinnova costantemente, oltre ai fan che vengono sempre che hanno visto tantissimi concerti, quindi sì, è abbastanza logico che ogni teatro sia tutto esaurito”.

Qual è allora la magia di questo live legato al cantautore genovese?

Di Cioccio: “Penso che la magia stia nel fatto che quando facciamo i brani li suoniamo esattamente come li abbiamo promessi, come li avevamo lavorati. Non è che Fabrizio è arrivato e ha portato una canzone fatta e finita ma si è fidato di noi, forse perché non sono un giocherellone ma ci mettiamo tanta ironia”.

Quale è stata la scintilla di questa collaborazione fra Pfm e Faber?

Di Cioccio: “L’ho conosciuto un giorno che ero al mare a Tempio Pausania e lui era lì per caso. Abbiamo chiacchierato tanto e gli ho fatto la domanda indecedente: se volesse fare qualcosa con noi e nonostante tutti gli dicessero di non farlo, perché 'con una batteria di 12 metri figurati se Franz Di Cioccio ti lascia cantare', lui ha accettato. Più gli dicevano di non farlo perchè eravamo pericolosi, più lui si gasava perchè aveva sentito qualcosa che lo aveva preso. E quando ci siamo messi a lavorare non c’era uno più bravo dell’altro, volevamo solo fare una cosa fatta bene e infatti nel tempo funziona  perché a distanza di anni rimangono valide la sua parte letteraria e la nostra parte musicale, abbiamo messo delle cose molto belle”.

Quali sono i brani che vi sono entrati nel cuore?

Di Cioccio: “Credo Giugno 73 perché il pubblico recepisce immediatamente sia la parte musicale che quella letteraria che non è monotona, non è uno spiegone, proprio perchè la Pfm quando fa le cose le fa sempre in un modo particolare, lanciamo un messaggio sonoro emotivo che quando lo assimili ti fa davvero bene”.

Djivas: “Mi piace un po’ tutto ma da bassista direi Il giudice e L’infanzia di Maria, quel brano della Buona novella che abbiamo aggiunto in un secondo momento al concerto originale per festeggiare i suoi ottant’anni anche se non era più con noi. Avevamo deciso di regalargli La buona novella rivista per intero da noi e devo dire che è venuta fuori una cosa molto bella e suggestiva che ora è un po’ al centro del nostro spettacolo”.

Chi era il De Andrè che avete conosciuto?

Djivas: “Era un Fabrizio come tutti se lo aspettano: geniale, e su questo non c’è ombra di dubbio. Aveva grandi sbalzi di umore e in una stessa giornata riusciva a farsi amare e odiare, non c’era mai una via di mezzo, non era mai indifferente.

Aveva anche questa caratteristica di essere un tuttologo, si preparava  perfettamente per qualsiasi cosa dovesse fare. Infatti quando ha fatto il contadino ha comprato un sacco di libri, ha letto tutto e faceva crescere delle cose che nemmeno chi faceva il contadino da cinque generazioni in Sardegna riusciva a fare.

Quando dopo la nostra esperienza lui ha capito l'importanza della musica e di come poteva aggiungerla ai suoi brani, da lì in poi ha cambiato completamente ed è diventato una persona estremamente preparata sulla parte musicale.

Con noi non ha messo becco, ha ascoltato quello che facevamo che era come leggere un libro al giorno sugli arrangiamenti ad esempio e quando si è ritrovato da solo ha messo in pratica tutto quello che aveva imparato in quel periodo ed è diventato l’artista in assoluto più completo che sia mai esistito nella musica italiana”.

Vi ha mai condizionato l’essere un gruppo icona del rock italiano?

Djivas: “Abbiamo sempre vissuto quello che succedeva intorno a noi come fosse normale. Adesso potrebbe essere normale pensarla così ma per noi lo era anche nel '73 quando abbiamo iniziato a suonare in America, in Inghilterra in posti mitici come il Rainbow di Londra o il Madison Square Garden di New York. Noi pensiamo solo alla musica, a come potevamo migliorare ed è sempre stata così la vita della Pfm. Solo forse quando abbiamo fatto Pfm in classic mi sono chiesto come siamo riusciti a fare una cosa del genere, una cosa da pazzi scatenati fuori dal mondo”.

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