Spettacolo

Il capolavoro di Saramago "Cecità" in scena martedì 26 marzo allo Zandonai di Rovereto

Sarà nello spettacolo creato dal celebre danzatore e coreografo Virgilio Sieni

Incombe sulla terra una tragedia immane che rovescia il modo di stare. Un virus sconosciuto agisce togliendo la vista alle persone. Comunità e individui perdono apocalitticamente quello che credevano di possedere e vedere e tutto è improvvisamente immerso in un biancore luminoso. Sono queste le premesse di “Cecità” la creazione di Virgilio Sieni ispirata dal capolavoro di Josè Saramago “Cecità” in scena, alle 20.30, al Teatro Zandonai di Rovereto. Ne abbiamo parlato con il danzatore e coreografo italiano, artista attivo in ambito internazionale per le massime istituzioni teatrali, musicali, fondazioni d’arte e musei.

Virgilio Sieni, da quali presupposti nasce il desiderio di proporre uno spettacolo legato al libro di Saramago “Cecità” ?

“La scelta scaturisce dal considerare l’elemento del corpo e tutto quello in cui consiste, ovvero la capacità di avvicinarsi all’altro, di essere prossimi all’altro e di toccare le cose con uno sguardo diverso. Nello stesso tempo dal riuscire a cambiare il punto di vista attraverso un elemento come la cecità che va a stimolare e riattivare una sensologia che non utilizziamo più”.

Qual è il fascino che ha avuto su di lei questo libro del grande scrittore portoghese?

“La cosa che colpisce maggiormente in queste pagine è osservare l’avvento di un qualcosa che va a scombinare la vita quotidiana, ovvero un virus che si diffonde fra la popolazione e provoca la cecità, sia in grado di rovesciare totalmente le abitudini delle persone facendo venir fuori i lati negativi che latitano dentro di noi. Ciò significa che dentro le persone, famiglie, contesti sociali si annida sempre una dimensione pericolosa che va quindi elaborata. Mi ha colpito il fatto che l’essere umano non sa reagire in maniera positiva a un imprevisto”.

Quale forme ha preso nella coreografia?

“Lo spettacolo è diviso in tre parti: la prima è legata a un’idea di corpo luminoso che perde il perimetro e acquista una luce diversa, un’ombreggiatura diversa e si sdoppia, si triplica, questo a dire che tutti noi abbiamo un’aura che ci collega agli altri. La seconda parte è molto più realistica che corrisponde a quando nel romanzo di Saramago tutti i ciechi vengono rinchiusi in un istituto. E’ una parte più brutale che va a rappresentare il momento in cui le persone sono costrette a trovare delle alleanze, dunque il lavoro è tutto giocato su questa alleanza tribale”.

E l’ultima?

“Direi che è una sorta di proposta, quella a cui Saramago a un certo punto allude nel testo, di unificarsi con gli elementi della natura e trovare nuove forme attraverso contesti al di fuori da noi. E’ necessario gurdare in maniera diversa e con un’attenzione diversa all’ambiente, alla natura e agli animali. Bisogna quindi trovare una forma di alleanza che possa indurci a ricostruire in maniera positiva anche il senso di città”.

La cecità obbliga i sei protagonisti. a vivere le cose diversamente e ad elaborare strategie di sopravvivenza.

“Le prove dello spettacolo sono svolte spesso con gli artisti bendati e quindi per anche solo cercare una ciocca d’uva può essere complicato. Il messagio è semplice: o ci alleiamo per sopravvivere o ciascuno va per conto proprio. Lo scopo è stimolare l’intelligenza del corpo che è molto forte e va al di là del cervello e del ragionamento a cui di solito siamo abituati a pensare”.

Le musiche originali sono di Fabrizio Cammarata.

“Sì, la colonna sonora è una composizione originale che abbiamo fatto strada facendo io e Fabrizio insieme: tessuti sonori in grado di ricreare non tanto una descrizione letterale di quello che avviene ma delle dimensioni ambientali, tende ad accentuare i tre contesti proposti nelle tre parti dello spettacolo”.

Lei dice: “Aprire gli occhi tutte le volte per vedere di nuovo”.

“Aprire gli occhi così come ogni gesto ci viene incontro dandoci la possibilità di elaborare in modo diverso senza pensare che siamo schematizzati e siamo in grado di elaborare le cose in un solo modo”.

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