Teatro / Intervista

Francesco Villano: “L’eterno marito” come spettacolo contemporaneo

Parla l'attore premio Ubu  2023, che stasera sarà in scena al "Cuminetti" di Trento, con Ciro Masella, in una rilettura del romanzo breve di Fëdor Dostoevskij

di Fabio De Santi

TRENTO. È quello di martedì 27 febbraio al teatro Cuminetti il debutto de "L'eterno marito", dal romanzo breve di Fëdor Dostoevskij (inizio alle 20.30). Protagonisti in scena Francesco Villano, premio Ubu come miglior attore 2023, e Ciro Masella (qui nella foto di Francesca Ferrai) con la drammaturgia di Davide Carnevali, la regia di Claudio Autelli, per una co-produzione fra TrentoSpettacoli , Teatro Franco Parenti e Lab121. In questa intervista Francesco Villano delinea i contorni dello spettacolo.

Francesco Villano quale approccio avete avuto nel portare in scena “L’eterno marito” con il regista Claudio Autelli?

“Io e Claudio abbiamo collaborato in diverse occasioni, perciò l’approccio totalizzante del lavoro - anche se a tappe - non è stata una sorpresa. La riscrittura di Davide Carnevali è arrivata abbastanza velocemente, diciamo quasi a inizio prove, per cui fin dai primi giorni abbiamo potuto lavorare su questo doppio livello linguistico della scena: ovvero sull’arco narrativo del racconto dostoevskiano e sulla linea di auto-fiction che Carnevali ha costruito rubando da noi e dal regista pillole di autobiografia”.

Un approccio comunque rispettoso al testo del grande autore russo?

“Certamente, pur con una storia riadattata e utilizzata per parlare del vero tema che ci interessava: la responsabilità della creazione, in senso biologico e in senso artistico, il senso di colpa, l’incapacità per la nostra generazione di lasciare eredi. Poi grande spazio è stato dato all’apporto multimediale della scatola scenica, proiezioni live e in differita cadenzano e specificano il racconto. Quindi abbiamo anche avuto la possibilità di lavorare drammaturgicamente con la macchina da presa live sul palcoscenico per ricostruire ad esempio il finale dello spettacolo attraverso un vero e proprio cortometraggio”.

Come descriverebbe “L’eterno marito”?

“Si tratta di uno spettacolo contemporaneo che utilizza diversi linguaggi scenici per parlare al pubblico di oggi di temi universali e importanti legati all’arte, alla sua trasmissibilità, alla responsabilità individuale e all’incapacità di riconoscersi come individui al di fuori di ruoli e convenzioni sociali”.

Qual è la sua attualità in questo terzo millennio?

“La modernità del testo di Carnevali risiede tutta nello spostare il tema della trama dal senso di colpa originario dei personaggi russi a un nuovo dibattito sul concetto di responsabilità, verso le nuove generazioni in primis e verso le nuove creazioni, questo movimento è di fatto incarnato dai personaggi cosiddetti biografici. Un eterno duello tra i personaggi e gli attori inoltre viene consumato intorno al tema del passaggio di consegne, e della conseguente incapacità di assumersi il ruolo di padri e quindi di guide artistiche e umane”.

Nelle note che accompagnano lo spettacolo si scrive che l’autore propone un viaggio tra il sogno e la realtà dentro questi movimenti dell’animo umano.

“Entrambi gli autori - Dostoievskij e Carnevali - giocano su una personale visione del mondo di Alexieij che in alcuni momenti dello spettacolo mescola la realtà con la percezione soggettiva del reale o meglio con una forma straniata di essa. Ad esempio il mio personaggio è ossessionato fin dall’inizio dalla sagoma diquest’uomo che crede di conoscere ma che per un motivo o perun altro non riesce mai a incontrare, Pavel rimane per lui un perturbante, una figura fantasmatica, dai tratti familiari ma non riconoscibili. E proprio il personaggio di Pavel all’inizio del dramma esplicita questa ambiguità di livelli suggerendo al personaggio di Alexieij una battuta: “e se non fosse lui ad inseguire te ma tu ad inseguire lui?”.

Lo scorso anno lei ha conquistato il premio Ubu come miglior attore 2023: che emozione ha provato?

“Indubbiamente fa piacere ottenere un riconoscimento così importante all’interno del settore a cui appartengo da tanti anni e che nonostante tutti i problemi strutturali che conosciamo e i continui tagli alla cultura rimane un luogo creativo, protetto, abitato da meravigliosi professionisti artigiani e artisti del teatro; questo è qualcosa che crea una grande emozione, mi ha dato la sensazione che il nostro lavoro non sia solamente “scritto sulla sabbia” come diceva Eduardo ma possa risiedere negli anni nella mente e nei cuori di colleghi e del pubblico più accorto”.

Da dove nasce la sua passione per il teatro?

“Purtroppo non ho una storia particolarmente interessante da raccontare in questo caso: non è stato un amore fulmineo, non è stato un amore precoce e forse all’inizio non è stato nemmeno un amore ricambiato. Ho iniziato a fare teatro in una piccola scuola quando avevo 17 anni ed essendo all’epoca un po’ introverso l’ho trovato un modo davvero divertente di imparare qualcosa su di me e sugli altri. La vera passione è arrivata anni dopo:  quasi per caso a 23 anni suonati, a pochi esami dalla laurea, ho avuto il desiderio di tentare il provino per l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. L’entrata, forse insperata, in quella prestigiosa scuola ha determinato un totale stravolgimento della mia vita sia per l’intensità dello studio che per la qualità delle relazioni umane con compagnə e insegnanti che ho avuto modo di sperimentare.Dopo quell’esperienza la valanga oramai era partita”.

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