Spettacoli / Intervista

Rezza: "Il mondo volgarizzato da social e tv mi fa un po’ più schifo di quello di trent’anni fa"

Parla l'attore e regista che insieme a Flavia Mastrella fa tappa al teatro SanbàPolis di Trento, con Pitecus, giovedì 22 febbraio, e il giorno dopo con Hybris

di Fabio De Santi

TRENTO. Doppio appuntamento nel segno di due tra gli artisti più innovativi e sperimentali in Italia, leggasi Antonio Rezza e Flavia Mastrella, per la stagione regionale Contemporanea. I due Leoni d’Oro alla carriera nel 2018, fanno tappa al teatro SanbàPolis con la prima e l'ultima delle loro creazioni: Pitecus, in scena giovedì 22 febbraio alle 20.30 e Hybris (qui nella foto di Annalisa Gonnella) proposto il 23 sempre alle 20.30.

In Hybris, Antonio Rezza sarà affiancato sul palco da Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e Cristina Maccioni.

Antonio Rezza, a Trento proporrete Pitecus e Hybris: iniziamo dal primo che è già storia per il teatro italiano?

“In questa occasione presentiamo il nostro primo e ultimo spettacolo. Pitecus è stato realizzato con la tecnica dei quadri di scena che abbiamo ideato con Flavia Mastrella. Ci sono estratti dello spettacolo del 1988, del 1990, è trentennale anche se andremo in scena ancora oggi e saranno rappresentati anche dopo la nostra morte. Pitecus è la nostra avanguardia, il nostro punto di partenza, è uno spettacolo iper-comico che fa leva sulla pochezza dell’essere umano”.

I personaggi sono tantissimi in un contesto dove non esistono rappresentazioni positive, ognuno si accontenta, tutti si sentono vittime: un messaggio che vale anche oggi?

"Il mondo di oggi mi fa un po’ più schifo di quello di trent’anni fa ma non perché sono cresciuto, non voglio passare il messaggio di idealizzare il mondo in cui vivevo quando ero giovane. Non dipende da questo ma ad esempio oggi viviamo immersi nella neo-volgarità dei social, nella mistificazione, nella menzogna para-televisiva che porta ognuno a sentirsi più di quello che è. Basti vedere, per fare un esempio recente, come il Festival di Sanremo venga fatto passare come una manifestazione neo progressista e di rottura quando invece rappresenta per me i fascismo allo stato puro: chiunque da quel pulpito dica qualcosa, anche la più assoluta sciocchezza, viene idealizzato, Ho un figlio di quindici anni, non saprei cosa dirgli se non di lasciare l’Italia perché è un Paese pieno di spunti per una carriera umanistica ma merita di essere abbandonato per come questa bellezza (non) viene gestita”.

“Hybris” è invece un lavoro ontologico-umoristico, delirante-realista, psicanalitico-lunare e lunatico.

“Hybris è il nostro presente verso un teatro che si avvale anche di altri performer, siamo in otto in scena, per altri è la prassi invece noi siamo arrivati a condividere il palco poco a poco, anche se non sono attori recitanti in senso classico, sono corpi che si muovono insieme al mio. C’è una porta che sposto per stabilire chi sta dentro e chi sta fuori”.

Dopo tanti anni di teatro cosa la emoziona maggiormente nell’affrontare il palco?

“L’energia che scambio con chi viene è irrinunciabile. Odio le tournée, odio viaggiare, dormire e mangiare fuori ma amo stare sul palco, è il mio punto debole. Nonostante siamo Leoni d’oro alla carriera alcuni direttori classici stentano a proporre la nostra dirompenza, per questo ringraziamo Massimo Ongaro del Santa Chiara che ci ha invitati a Trento”.

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