Teatro / Trento

Motus con "Tutto brucia" e "Frankenstein, a love story” al teatro Sanbàpolis

Due appuntamenti con una delle formazioni più coraggiose della scena italiana nata a Rimini nel 1991. Si comincia oggi, giovedì 15, con una riscrittura delle Troiane di Euripide. Dopodomani, sabato, spazio a “Frankenstein, a love story”. Ecco l'intervista con Daniela Francesconi Nicolò una delle due anime creatrici di Motus insieme a Enrico Casagrande

di Fabio De Santi

TRENTO. Doppio appuntamento questa settimana al Teatro Sanbàpolis con Motus una delle formazioni più coraggiose del teatro italiano nata a Rimini nel 1991. Giovedì 15 alle 20.30 in scena “Tutto Brucia, una riscrittura delle Troiane di Euripide anche  attraverso le parole di J. P. Sartre, Judith Butler, Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, NoViolet Bulawayo e Donna Haraway. Sabato 17 spazio a “Frankenstein, a love story” definito come.

“Un  progetto mostruoso legato al romanzo di Mary Shelley e composto dalla cucitura di diversi episodi e dal desiderio di ridare vita all’inanimato, galvanizzandolo, scomponendo e ricomponendone pezzi letterari”. Ne abbiamo parlato con Daniela Francesconi Nicolò una delle due anime creatrici di Motus insieme a Enrico Casagrande gruppo che da sempre coinvolge musicisti, disegnatori e scultori, prefigurando una poetica rivolta a contaminare l'esperienza teatrale oltrepassando i confini fra i generi.

Daniela Nicolò, come ha preso forma “Tutto brucia”?

“Nasce da una nostra tendenza a rielaborare le tragedie greche. Siamo partiti da “Le troiane” durante la pandemia in un clima di tensione, sofferenza e lutto e questo spettacolo riflette quella dimensione visto che anche le donne della tragedia erano sottoposte a questo isolamento. Ci siamo focalizzati sulle figure di Cassandra e di Ecuba. Interpretate da Silvia Calderoni e Stefania Tansini, Abbiamo rielaborato alcune parti con la drammaturga Ilenia Caleo che le ha trasformate in canto con una cantante Francesca Morello, in arte R.Y.F., in scena. E’ un grande rituale legato alla resistenza e non solo al compianto e alla paura della guerra. Tra l’altro questo lavoro diventa sempre più attuale, purtroppo”.

E come si è concretizzato in scena?

“E’ stato fatto un lavoro sull’oscurità per rappresentare una città distrutta come Troia, dove rimane solo cenere. E' in questa dimensione post-apocalittica che si trovano queste donne che, dopo esser state fatte prigioniere, sono in attesa di essere vendute come schiave”.

Come si sfugge all’impotenza dell’essere umano davanti al divenire e c’è un momento catartico?

 “C’è un tentativo di catarsi nel monologo finale che abbiamo riscritto e in cui c’è un invito a resistere ma anche a trasformarsi e a imparare dall’ambiente che ci circonda. Questa è una tragedia sulla guerra che distrugge tutto: persone, animali, ambiente. L’invito finale è a mettersi all’ascolto, ad essere con il mondo e non contro il mondo. E’Cassandra che pronuncia questo monologo, “tutto brucia” è una sua frase perché lei esorta a smettere di piangere, a danzare, fare festa e a vendicarsi dei danni subiti, anche se poi la vendetta non esiste, e invita a portare il fuoco, inteso come rinascita, laddove c’è morte e distruzione”

A Trento presenterete anche Frankenstein (a love story).

“Il progetto di Frankenstein è nato durante “Tutto brucia” perché l’idea della mostruosità, di essere considerati diversi è propria anche delle donne troiane considerate delle barbare, non all’altezza dei greci. Il progetto è doppio, questo è il primo movimento che tratta della creatura abbandonata dal suo creatore che si innamora del mondo e degli umani. In realtà la creatura nasce buona e cerca di essere accolta, invece viene sempre rifiutata per il suo aspetto non conforme, definito appunto mostruoso. Questo punto di vista ci piaceva perché credo sia importante insistere sul fatto che persone con altre caratteristiche fisiche abbiano difficoltà nel contesto sociale. Ci siamo focalizzati su questa parte ma abbiamo deciso di inserire come personaggio anche la Shelley, interpretata da Alexia Sarantopoulou, che porta in scena una riflessione teorica sui pensieri che hanno portato alla scrittura di questo libro rivoluzionario perché scritto a soli diciannove anni in una società comunque maschile”.

In scena anche Enrico Casagrande: come mai?

"Frankenstein è anche una riflessione sulla creazione artistica, su cosa significa creare nuovi mondi e ci piaceva  riportare in scena dopo vent’anni il regista Enrico Casagrande, con me fondatore di Motus, nei panni della Creatura, per interpretare un essere così fragile che però nel secondo movimento cambia. Infatti nel prossimo spettacolo nel 2025 ci concentreremo sull’amore che purtroppo si trasforma in odio, sui meccanismi di violenza, anche questo tema tristemente attuale".

Voi dite abbiamo bisogno di mostruosità, di toccarla, e tenerla vicino.

“È un ammonimento: i mostri mitologicamente sono state figure rispettate e venerate perché avevano il ruolo di portare l’inatteso nel quotidiano. Adesso c’è molta paura di ciò che è sconosciuto e banalmente anche dello straniero, di ciò che è non è affine a noi. È un po’ un invito a sentirci vicini alle diversità in tutti gli ambiti”.

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