Musica / L’evento

Ian Anderson con i suoi Jethro Tull in concerto il 14 febbraio a Brescia con il suo Seven Decades

Tour fra i grandi classici della leggendaria band e quelli del nuovo disco RökFlöte

di Fabio De Santi

TRENTO. Dopo il lancio del loro nuovo disco RökFlöte lo scorso aprile, tornano in Italia nei teatri i Jethro Tull, una delle prog band più amate di sempre. Il loro tour italiano fatto di quattro live sotto la sigla di "Seven Decades Tour" toccherà il Gran Teatro Morato di Brescia il 14 febbraio per la data più vicina alla nostra provincia. Il celebre gruppo guidato da Ian Anderson, icona del progressive rock mondiale, è tornato con un lavoro come RökFlöte con dodici tracce basate sui personaggi e sui ruoli di alcune delle principali divinità dell'antico paganesimo norreno, esplorando allo stesso tempo il "RökFlöte" - flauto rock - che i Jethro Tull hanno reso iconico.

Di questo lavoro e del tour abbiamo parlato con il cantante e musicista scozzese Ian Anderson icona del progressive rock internazionale e anima dei Jethro Tull fin da quando apparvero per la prima volta con questo nome nel 1968 nel famoso Marquee Club di Londra e da lì riuscirono a creare immediatamente un largo seguito, suonando su e già per l’Inghilterra. Il vero successo – anche un po’ a sorpresa – arrivò al Sunbury Jazz e al Blues Festival nell’estate del 1968.

I Jethro Tull registrarono e pubblicarono il loro primo album, “This Was”, con la formazione originale con Anderson, Cornick, Bunker e Abrahams. Dopo la sostituzione di Mick Abrahams con Martin Barre, circa altri tre musicisti si sono avvicendati nelle fila dei Jethro Tull, marchio che sopravvive fino ad oggi e dura nel tempo: Ian Anderson si esibisce con la band in genere per circa un centinaio di spettacoli ogni anno in tutto il mondo. Fra i must discografici dei Jehtro Tull “Stand Up”, che contiene anche la rivisitazione di una Bourée di J.S. Bach, “Benefit”, uscito nel 1970 anno in cui la band partecipò al festival dell'Isola di Wight, l’imprescindibile “Aqualung”, targato 1971, “Thick as a Brick”e “Too Old to Rock 'n' Roll: Too Young to Die!” pubblicato nel 1976. Del tour, del nuovo disco e del momento attuale dei Jehtro Tull abbiamo parlato con mr. Ian Scott Anderson nato in Scozia nel 1947.
 

Ian Anderson, vorrei incominciare dal vostro ultimo disco RökFlöte uscito lo scorso anno: da dove l'ispirazione legata alla mitologia norrena? Cosa l’affascina intendo di quell’epoca?

“Ho iniziato a lavorare all’album RökFlöte a inizio 2021 con l’idea di esplorare le personalità di alcuni dei norreni in modo un po’ spensierato. Ho cercato di evitare qualsiasi collegamento ovvio con le esplorazioni pagane delle band heavy metal nordiche o associazioni con le fantasie oscure ad esempio di Heinrich Himmler. Era quindi necessario un tocco più leggero”.

Si può parlare quindi di un concept album?

“Certo si tratta proprio un concept album scritto con uno stile poetico e incentrato su temi minuziosamente intrecciati l’uno con l’altro”.

E questo titolo RökFlöte?

“E’ una combinazione di Rök, che significa destino in islandese antico, e Flöte che è la parola tedesca per lo strumento che suono”.

Parliamo del live che proporrete anche in Italia: quali forme avrà?

“Sarà un live che ripercorre i diversi stili musicali del gruppo in oltre settant’anni con esempi presi da ogni decennio. Alcune sono canzoni più familiari, altre meno ma tutte nell’ambito del rock progressivo e del folk”.

Per questo tour ha magari riscoperto qualche brano che non proponeva da tempo nei vostri concerti?

“Sì, ci sono due o tre pezzi che non abbiamo più suonato dopo averli registrati e alcuni che non sono stati inseriti in scaletta per tanti anni. Ma ne proponiamo anche tanti che il nostro pubblico conosce bene e che spero ami da tempo, insieme a quattro brani tratti dagli ultimi due album”,

Nel nostro Paese lei e i Jethro Tull avete sempre avuto un grande seguito: cosa le piace dell’Italia?

“Mi fa sempre piacere tornare in Italia, al nord, al sud o al centro. Ma preferisco il freddo nord. Mi piace visitare le cattedrali e le chiese antiche per godermi la solitudine e l’elevazione spirituale. Ho anche suonato in alcune di queste chies. L’ultima volta che sono stato in Italia non ho avuto molto tempo per conoscere le città. Forse questa volta sarò più fortunato. Cercherò di visitare qualche attrazione e ovviamente qualche chiesa”.

Lei è considerato un punto di riferimento per il rock progressivo: le ha mai pesato questo ruolo?

“No, è bello essere associati a uno stile musicale e non ad uno che è sinonimo di musica pop da classifica. Il rock progressivo inoltre comprende il folk e anche elementi di altre influenze eclettiche”.

Cosa ne pensa dell'attuale scena rock britannica?

“Non so cosa sia, nè cinquant’anni fa nè adesso, perchè non ho mai ascoltato molta musica. Suono per passione e per lavoro e quindi non trascorro molto tempo ad ascoltare gli altri. Ovviamente 55 anni fa ascoltavo la musica nuova di quegli anni ma solo per avere delle idee nuove da cui iniziare un percorso verso l’avventura e la gloria”.

Oltre la musica le chiederei come vede l’orizzonte internazionale dalla sua Inghilterra: dopo l’invasione russa dell’Ucraina si parla sempre più di una possibile terza guerra mondiale. Quanto la preoccupa la situazione?

“Avrei dovuto suonare in Ucraina e in Russia nel 2022 ma ovviamente è stato tutto prima sospeso e poi cancellato, probabilmente per sempre. Potrei sperare di andare in Ucraina ma è mero ottimismo. La realtà è che stiamo affrontando una nuova guerra fredda che si sta scaldando ogni giorno di più come il clima. Le situazioni in Medioriente, in Corea del Nord e in Cina sono altrettanto allarmanti. Credo di essere stato fortunato ad avere una carriera nella musica in quella breve finestra tra la fine della seconda guerra mondiale e quello che sta per accadere”.

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