Drammaturgia / Debutto

Il coraggio di mettere in scena Degasperi, oggi: «L’Europa brucia», la prima assoluta a Trento

Paolo Pierobon, che lo interpreta a teatro, sul testo della trentina Angela Dematté: «E’ stato un padre fondatore, e oggi invece i politici sono su Tik Tok»

di Fabio Desanti

TRENTO. Portare in scena la statura e la complessità, le luci e le ombre dell'uomo/statista Alcide Degasperi che aderisce totalmente al suo compito politico tanto da non vedere più i confini tra sé e la nazione, caricandosene il peso e diventandone poi, inevitabilmente, artefice e vittima. Questo l'obiettivo dello spettacolo "Degasperi: l'Europa brucia" che debutta giovedì primo febbraio al Teatro Sociale dove sarà in scena fino a domenica.

"Degasperi: l'Europa brucia" è un testo interpretato da Paolo Pierobon, Giovanni Crippa, Emiliano Masala, Livia Rossi e Francesco Maruccia, diretto da Carmelo Rifici e scritto dall'autrice trentina Angela Dematté.

Si tratta di una coproduzione tra Teatro Stabile di Bolzano, Lac Lugano Arte e Cultura, La Fabbrica dell'attore/Teatro Vascello di Roma e Centro S. Chiara con la collaborazione con la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e del Centro Teatrale Bresciano.

Dopo il debutto lo spettacolo, che approderà poi anche a Genova, Lugano, Milano e Roma, sarà in scena allo Zandonai di Rovereto il 13 febbraio e al Comunale di Bolzano e dal 15 al 18 febbraio. Ne abbiamo parlato con l'attore veneto Paolo Pierobon, di recente vincitore del Nastro d'Argento come attore non protagonista in «Rapito» di Bellocchio e protagonista delle produzioni del Teatro Stabile di Bolzano «Eichmann. Dove comincia la notte» di Stefano Massini con Ottavia Piccolo e «Riccardo III» per la regia di Kriszta Székely.

Paolo Pierobon, chi era per lei Alcide Degasperi prima di impersonarlo in questo spettacolo?

«Alcide Degasperi è un nome presente fin dall'infanzia di tutti, di generazione in generazione, non solo per ragioni politiche ma squisitamente topografiche. Tra vie, piazze e associazioni è impossibile non chiedersi a un certo momento chi sia stato questo signore. Ora che sono immerso nelle sue parole e nelle sue vicende verifico quotidianamente la sua grandezza: Degasperi ci riguarda anche quando non lo sappiamo, è un padre costituente in tutti i sensi».

Quale la difficoltà maggiore che lei ha riscontrato nell'essere Deegasperi?

«Questo spettacolo non è un biopic. Viene restituita un'ipotesi su Degasperi. Un Degasperi trasognato, mentale. Il teatro ti offre la grande libertà di trascendere i limiti della verosimiglianza cinematografica. È molto sfidante, invece, non cercare un'esteriorità del personaggio, ma recuperare una tipologia umana politica ormai estinta, fatta di grande contegno, dignità e ricerca retorica che immediatamente restituisce stature umane e politiche raramente riscontrabili oggi. Con Degasperi, uomini e donne erano immersi in quell'urgenza vitale dell'immediato dopoguerra che lo ha portato, tra le sue prime missioni, a cercare aiuti economici in giro per il mondo».

Come si è confrontato con le idee del regista Carmelo Rifici?

«Con il regista ci siamo trovati fin da subito d'accordo sulla rappresentazione più di un flusso interiore che di un "personaggio"».

La forma della rappresentazione si lega ad una serie di dialoghi fra Degasperi e quattro personaggi assai diversi fra loro: la figlia Maria Romana, il segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti, l'ambasciatore americano in Italia James Clement Dunn e un ragazzo di Matera.

«Il flusso di coscienza di Degasperi che imperversa in tutto lo spettacolo incontra diverse stazioni, presidiate più che da personaggi, da vere e proprie apparizioni. La figlia, Togliatti, Dunn e Paride entrano sempre di più come segni onirici, che alludono, di volta in volta, al contesto domestico, dialettico politico, diplomatico e infine astratto».

Nelle note si sottolinea come il linguaggio di Degasperi appare schietto solido ed emotivo, più che politico, in ogni modo, pieno di una retorica positiva e umile molto diversa da quella di oggi.

««La sintassi e la retorica di Degasperi sono impareggiabili e imparagonabili alla comunicazione di oggi. Pensi solo ai politici su Tik Tok».

Degasperi, personalità complessa fatta inevitabilmente anche di ombre: come le materializza in scena?

«Il laboratorio mentale di Degasperi che abbiamo ipotizzato teatralmente è composito, ed è fatto anche di tensione per la preparazione di un discorso, insofferenza, frustrazione e qualche rancore. È un self made man ante litteram, non gli ha mai regalato niente nessuno».

Degasperi, imprigionato per due anni a Regina Coeli era un antifascista e quindi pensava ad un Italia che si potesse riscattare dalla dittatura: quanto è forte il suo messaggio nell'Italia di oggi?

«Credo che il messaggio di Degasperi non sia ascoltato da nessuno oggi».

Quanto c'è in questa rappresentazione dell'uomo di montagna Degasperi?

«Non si è voluto indulgere nell'agiografia o nel quadretto nostalgico montanaro, ma in qualcosa di più radicato come ad esempio "l'educazione della mia terra che mi ha imposto l'umiltà”».

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