Teatro / Intervista

Filippo Dini: "Il mio Crogiuolo di Arthur Miller per riflettere sull'isteria collettiva dei nostri tempi"

Un’opera di feroce critica nei confronti della società umana in cui la delazione e la calunnia innescano un meccanismo incontrollabile di intolleranza e violenza. Parla Filippo Dini, protagonista da oggi a domenica, nelle vesti di attore e regista, sul palco del teatro Sociale di Trento

di Fabio De Santi

TRENTO. Un’opera di feroce critica nei confronti di una società, quella americana, ma per estensione quella umana, in cui la delazione e la calunnia innescano un meccanismo incontrollabile di intolleranza e violenza.

Si può descrivere così “Il Crogiuolo” di Arthur Miller che Filippo Dini, nelle vesti di attore e regista, porta sul palco del teatro Sociale oggi e venerdì alle 20.30, sabato alle 18 e domenica alle 16, per la stagione di prosa del Centro S.Chiara. Di questa rappresentazione del testo scritto nel 1953 dal grande drammaturgo americano e tradotto da Masolino d’Amico abbiamo parlato con Filippo Dini artista residente del Teatro Stabile di Torino e reduce dal successo di Così è (se vi pare) e Casa di bambola.

Filippo Dini, da dove la scelta di portare in scena e di interpretare uno dei testi più lucidi e impietosi della drammaturgia americana?

“Quest' opera, nonostante la sua firma autorevole, è piuttosto sconosciuta in Italia mentre è famosissimo in tutto il mondo fino al punto di essere citato persino in una puntata dei Simpson. Io l’ho letto una quindicina di anni fa e ho avuto subito il desiderio di metterlo in scena. Ci sono andato vicino diverse volte. ma solo adesso è arrivato il momento giusto anche per i temi trattati così vicini alla realtà di oggi”.

Quali?

“Su tutti quell’isteria collettiva, o quel pericolo di una follia diffusa, che attraversa il Crogiuolo ma che è presente nella nostra società come abbiamo visto anche nello scontro fra no vax e vax o vediamo nell'interpretazione che molti danno alla guerra fra Russia e Ucraina".

Qual è la forza del Crogiuolo?

“Beh Arthur Miller ha scritto una storia straordinaria, passionale, pierna di colpi di scena e di momenti intensi sia per chi la interpreta sul palcoscenico sia per chi la guarda in platea”.

Un’opera politica scritta nel 1953, in pieno Maccartismo rievocando quanto accaduto durante la caccia alle streghe di Salem nel XVII secolo.

“Miller stava vivendo sulla sua pelle uno dei periodi pià oscuri della storia degli Stati Uniti rischiando di essere emarginato professionalmente. Il testo è scritto in maniera passionale perché aveva ricevuto due grandi ferite: una causata dal suo Paese che aveva innescato con Joseph McCarthy, un meccanismo senza controllo e l’altra dal tradimento del suo migliore amico Elia Kazan che convocato dalla comissione che indagava sulle attività antiamericane denunciò colleghi e amici. Miller non racconta la storia del suo contemporaneo ma quella di un periodo per lui analogo come la caccia alle streghe accaduta nel 1692 nel Massachusetts. Una trasposizione ha reso questo testo veramente universale nel raccontare la tendenza dell’essere umano a perdere il controllo e la lucidità nella gestione delle dinamiche sociali”.

Quanto è difficile essere regista ed interprete principale di uno spettacolo?

“Si vive inevitabilmente un processo di sdoppiamento. Questa però è la dimensione nella quale mi trovo meglio perché mi permette di lavorare sullo spettacolo da dentro e ancora dopo il debutto osservando come esso si evolve. In questo caso siamo in giro da quasi due mesi e tutto ha preso una forma più chiara e più definita. Certo è più faticoso anche nel rapporto con la compagnia ma questo mi arricchisce molto nella cura della vivacità della messa in scena”.

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