Teatro / L'intervista

“Stand up Fedro!”: Paolo Rossi in scena a Trento fra reading e improvvisazione: «Raccontare storie ha anche una valenza politica e sociale»

Domani, domani, giovedì 13 ottobre, alle 11, l'attore milanese con lo spettacolo in prima nazionale, come conclusione del congresso internazionale “La favola tra Oriente e Occidente”, in programma all’Università

di Fabio De Santi

TRENTO. Un viaggio tra culture ed epoche diverse. Da Oriente a Occidente e ritorno, tra antichità e mondo contemporaneo e fra studi di settore e tradizione popolare. Dentro a storie popolate di animali che incarnano vizi e virtù di uomini e donne. È quello che intraprenderanno le persone partecipanti al congresso internazionale “La favola tra Oriente e Occidente”, in programma da ieri a giovedì 13 ottobre all’Università di Trento nell’aula 7 di Palazzo Paolo Prodi in via Tommaso Gar 14.

Fra i protagonisti lo storico Franco Cardini che ha parlato del raccontare, in Oriente e in Occidente, mentre domani, giovedì, alle 11 Paolo Rossi presenterà il suo inedito “Stand up Fedro!”. Uno spettacolo in prima nazionale che ci siamo fatti raccontare dal comico e mattatore milanese.

Per lei un convegno come quello di Trento sulla favola è l’ideale per presentare la sua ultima performance “Stand up Fedro!”.

«Questa è un’occasione particolare, non recito in un teatro ed è abbastanza indicativo del momento “fluido” che stiamo vivendo. Ho tantissime richieste per fare spettacoli in situazioni non teatrali da circoli letterari a circoli Arci. Io ho sempre fatto teatro d’emergenza, quindi sono più allenato di altri. Sono sempre stato convinto che se in un bar salgo su un tavolo e recito il monologo del Riccardo III quel bar diventa un teatro».

Fedro dopo Orazio e Omero: ci sta prendendo gusto con i grandi autori dell’antichità?

«Ho già fatto tre stand up dedicati a Omero, Orazio e Shakespeare. “Stand up Fedro!” consiste in un cocktail di generi e stili: si passa dal reading all'improvvisazione, a volte c’è anche la musica. È una formula d’emergenza che ha il suo perché e questo spiega il motivo di tante richieste. Questa è un’epoca post-narrativa: per parlare del presente, di te stesso, per raccontare delle storie, ci vuole che qualcuno resista e continui a raccontare e la miglior miniera a cui attingere sono i classici. Raccontare storie ha anche una valenza politica e sociale. Se c’è una grossa questione etica in ballo puoi fare proclami, petizioni, manifestazioni ma non c’è niente di più forte di una storia perché tocca tutti. È la più alta delle forme di comunicazione perché influenza e ti fa cambiare lo sguardo».

Qual è l’attualità di Fedro, grande autore classico, in questo terzo millennio?

«Credo che il fattore umano sia abbastanza trascurato oggigiorno e non c’è niente di meglio per raccontarlo che partire dagli animali. Il mio primo pezzo si chiamava “Il cinghiale delle valli di Comacchio” e una delle storie più forti che ho scritto vede protagonista un cane della narcotici. È un modo di usare il repertorio che conosci e di adattarlo alle situazioni, al pubblico che hai davanti, quindi lo rigeneri e lo reinventi e non sarà mai uguale a una delle serate precedenti».

Come si trova un comico, un saltimbanco, in un mondo sempre più legato al politicamente corretto in cui fare battute su molti argomenti è diventato, quasi, impossibile?

«Lì dove ti pongono il problema c’è la soluzione stessa, cioè dal vivo è tutto più semplice. Ad esempio due settimane fa ho fatto uno spettacolo in un circolo “Maschere nere” gestito da senegalesi ma io non mi sono fatto problemi in questo contesto scherzoso a dire la parola “negro”. Il politicamente corretto serve per farci adeguare tutti a un pensiero unico che come spinta ha quella di produrre, consumare, decedere. Edulcorando il linguaggio si pensa di fare una buona impressione, ci si omologa e non si affronta il vero problema che sta dietro al razzismo o al maschilismo. È buona cosa quando il pensiero è libero e purtroppo oggi in nome del pensiero libero si toglie la libertà di pensiero».

La rivedremo sul piccolo schermo?

«Credo che sia difficile oggi per chi lavora in tv fare della buona televisione. Non si rendono conto che ora ci sono tanti modi alternativi per far conoscere la propria arte come social, web e piattaforme. Ritengo che la televisione abbia bisogno non dico di me, ma di gente che segue la mia strada, ma siamo noi a non aver più bisogno di lei. Mi si può vedere invece sul grande schermo nel film presentato a Venezia “Acqua e anice” con Stefania Sandrelli e reciterò presto un altro film».

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