Cultyura / Il caso

L'università Bicocca cancella il corso su Dostoevskij, poi le proteste social e il dietrofont

Mortificato lo scrittore Paolo Nori dopo la temporanea censura del suo intervento: "Senza senso, ora non so se tornerò". Antonio Scurati: "Un caso grottesco e assurdo di cancel culture, la nuova ideologia imperante"

MILANO. "Che senso ha cancellare la cultura di un Paese?": nella domanda di Paolo Nori è racchiuso il senso della polemica che vede protagonisti lo scrittore e l'Università Bicocca di Milano, che aveva cancellato un suo corso su Dostoevskji, poi ripristinato dopo le reazioni dei social e del mondo politico.

L'autore di 'Sanguina ancora. L'incredibile vita di Fedor M. Dostoevskij' ha letto quasi in lacrime su Instagram una "lettera ricevuta dall'università" con cui "il prorettore alla didattica ha comunicato la decisione, presa con la rettrice, di rimandare il corso su Dostoevskij. Lo scopo è quello di evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna, in quanto è un momento di forte tensione".

La denuncia di Nori ha infiammato i social e non solo, e poco dopo la Bicocca ha diffuso una nota per ribadire di essere "un ateneo aperto al dialogo e all'ascolto anche in questo periodo molto difficile".

L'ateneo ha quindi confermato il corso di Nori, cui varie università avevano già offerto ospitalità, spiegando che "la rettrice incontrerà Paolo Nori la prossima settimana per un momento di riflessione".

Da parte sua, lo scrittore - appoggiato dalla sua casa editrice, Mondadori, che ha twittato "Noi non smetteremo mai di leggere e raccontare la letteratura russa" - ha risposto amareggiato: "Non se voglio andare in un'Università che ha immaginato che Dostoevskvij sia qualcuno che genera tensione".

Nori ha spiegato che "non hanno ritirato subito la cancellazione. Stamattina alle 8 la rettrice mi ha scritto invitandomi a prendere un caffè da lei martedì prossimo e non ha detto che le dispiaceva questa cosa, che ritirava. Lo ha fatto dopo alle 10.30 quando ormai la cosa era esplosa".

Sul caso è intervenuta la ministra dell'Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa: "Bene che l'Università Milano-Bicocca abbia rivisto la propria decisione - ha detto - È molto importante che si tengano le lezioni di Paolo Nori, con l'appoggio dell'ateneo. Dostoevskij è patrimonio dal valore inestimabile e la cultura resta libero terreno di scambio e arricchimento".

Per Nori, al di là del corso universitario, "che è una cosa del tutto secondaria", questo incidente "ha portato alla luce un sentimento invece che mi fa paura, che può diventare pericoloso": "Oggi essere russo - la sua riflessione - è una colpa anche per delle persone che hanno studiato. E non solo essere russo ma anche esserlo stato, il fatto di non voler parlare di Dostoevskij perché provoca imbarazzo e tensione è una cosa stupefacente".

Oggi solidarietà a Nori e sconcerto per quanto successo sono stati espressi anche dagli scrittori Valeria Parrella, Andrea Tarabbia, Helena Janeczek, oltre che da politici di vari schieramenti, da Matteo Renzi a Pierluigi Bersani, dal M5S alla Lega, e ancora dal segretario nazionale di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, che ha deciso di presentare un'interrogazione parlamentare sull'episodio.

Intanto, fa discutere a Genova la decisione del Teatro Govi di Bolzaneto di annullare, come presa di posizione contro il conflitto in Ucraina, un evento per i 200 anni dalla nascita di Dostoevskji previsto nei prossimi giorni.

E anche il Festival di fotografia europea di Reggio Emilia ha annullato la presenza della Russia come Paese ospite. Tra i fotografi che avrebbero dovuto partecipare, Alexandr Gronskij, arrestato (e poi rilasciato) a Mosca per aver manifestato contro la guerra.

E pure la Triennale di Milano ha deciso di ritirare l'invito alla Russia per l'esposizione internazionale in programma dal 20 maggio.

Cancellare la cultura di un Paese perché è imperialista "è un gesto totalmente insensato. E per me questo non vale solo per la Russia, ma in generale per quella che chiamiamo cancel culture anche e soprattutto quando si rivolge ad autori, opere, fenomeni culturali che si ritengono portatori di maschilismo, sessismo, razzismo".

Lo dice Antonio Scurati, Premio Strega con "M. il figlio del secolo"(Bompiani), serie su Mussolini e il fascismo di cui sta scrivendo il terzo volume, che uscirà presto ma annuncia "non sarà l'ultimo".

"Credo che nel suo insieme la cancel culture sia una sottocultura degenere che va rifiutata anche e soprattutto perché non raggiunge affatto gli obiettivi che si propone, ma è totalmente controproducente anche quando noi condividiamo quegli obiettivi" spiega Scurati.

"Da diversi anni ormai assistiamo a una crociata nell'Occidente europeo e nord americano contro tutte quelle manifestazioni, talvolta altissime, della cultura tradizionale che per ovvie ragioni storiche era anche permeata da elementi maschilisti, a tratti imperialisti e misogini. Fino ai paradossi per cui in alcune università americane è diventato difficile, se non impossibile, insegnare capolavori del canone letterario perché gli autori che li hanno scritti erano maschi, bianchi. Oppure a quella censura a cui le grandi piattaforme broadcasting internazionali sottopongono qualsiasi progetto artistico che non sbandieri e dichiari in maniera dozzinale un programma di diversity and inclusion.

Questo è la nuova ideologia oggi imperante in certi ambienti intellettuali del nuovo conformismo e perbenismo finto progressista" dice lo scrittore.

E fa notare che "nessun progetto di liberazione può attuarsi attraverso l'oppressione".

E il caso della Russia, secondo Scurati, manifesta "in modo parossistico, a volte ridicolo e grottesco, l'elemento oscurantista e di cecità ideologica che è insito in qualsiasi cancel culture.

Il caso di Paolo Nori è plateale. È addirittura ridicolo che si pensi di poterlo censurare perché tiene un corso su Dostoevskij, uno dei geni dell'umanità, dei giganti della letteratura che fra l'altro ha avuto una vita segnata dalla persecuzione in quanto vittima del dispotismo.

Questo purtroppo testimonia anche la decadenza burocratica delle università italiane che è un problema con cui tutti noi professori abbiamo a che fare".

Scurati spiega anche "che è totalmente assurdo e controproducente pensare di mettere al bando la cultura russa che è una delle espressioni più altre della cultura europea. Se c'è un territorio nel quale la Russia è Europa questo è la sua cultura.

Mentre per molti altri aspetti, per la sua storia politica, la Russia non appartiene per niente all'Europa e i fatti di questi giorni lo dimostrano. Buona parte della grande cultura russa è espressione di oppressi dagli stessi regimi, di voci dissidenti.

In questi giorni mi è giunta una copia staffetta di Stalingrado, opera monumentale del grandissimo Vasilij Grossman che aveva creduto negli ideali comunisti dell'Unione Sovietica e che poi ha dovuto scontarli.

Altro discorso sono gli esponenti della cultura russa che hanno forti legami personali con il regime putiniano.

È il caso di Gergiev che è uno dei più grandi direttori d'orchestra che però ha svolto anche questa funzione nella Russia di Putin.

È assurdo chiedere a lui di prendere posizione, è un comportamento puerile, ingenuo. Esprime una visione della politica di tipo moralistico che è una cosa sciocca ed è quello che accade anche nella valutazione complessiva della Russia di Putin, dei rapporti fra Europa e Russia, fra l'Ucraina e la Russia in questi giorni", dice Scurati.

"Il regime russo attuale mi sembra abbia compiuto un passo verso l'inammissibile e l'irreversibile dal punto di vista del mondo libero e democratico" sottolinea lo scrittore, contento che arrivi a Roma, dal 4 marzo al Teatro Argentina, lo spettacolo teatrale di Massimo Popolizio tratto da M che ha avuto grande successo a Milano "con quasi 20 mila spettatori e code fuori", conclude.

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