Musica / L’intervista

L'onda reggae degli Africa Unite sabato 4 settembre all'Arena delle Lochere a Caldonazzo

Bunna ci racconta le forme del live che si intreccia con i primi quarant'anni della band

di Fabio De Santi

TRENTO. Era il 1981, immediatamente dopo la scomparsa di Bob Marley, quando due ragazzi, Bunna e Madaski, formarono gli Africa Unite, cominciando il percorso che li ha portati a diventare il gruppo più longevo e rappresentativo del reggae in Italia. Ora, quarant'anni dopo, gli Africa Unite celebrano il loro anniversario con il "Combo Session Tour", che li porterà sabato 4 settembre anche in Trentino all'Arena delle Lochere di Caldonazzo (Prevendite sul sito www. associazioneonelove.it). Un live, come ci racconta i cantante Bunna, aka di Vitale Bonino, che riserverà diverse sorprese in un set diviso fra passato e un presente fatto anche del brano “Forty-One Bullets” uscito a maggio.

Bunna, cosa racchiude la sigla del tour: "Unite Combo Session"?

"Abbiamo pensato a questo nome perché, vista la situazione che stiamo vivendo, le restrizioni, il pubblico contingentato, abbiamo deciso di suonare con una formazione ridotta della band: saremo in cinque on stage anche per andare un po’ incontro agli organizzatori che hanno a disposizione delle risorse minori rispetto al solito. Nei nostri progetti ci sarebbe stato altro: durante la pandemia abbiamo registrato un disco nuovo che avremmo voluto far uscire per festeggiare i nostri primi quarant'anni ma la situazione non permetteva di fare un tour come ci sarebbe piaciuto. Il disco però lo abbiamo fatto e vedremo quando pubblicarlo".

Intanto avete riregistrato e reinterpretato uno dei vostri classici "People Pie" del 1991.

"Per un lungo periodo non si poteva fare nient'altro che stare a casa o in studio a lavorare così Madaski ha proposto di riregistrare “People Pie” senza stravolgerlo ma con la maturità e la tecnologia di oggi. Nonostante fosse solo il nostro terzo disco, che risente quindi dell'ingenuità dal punto di vista musicale e dei testi, era già un lavoro che segnava il nostro percorso e conteneva già degli sconfinamenti rispetto al genere, cosa che poi gli Africa hanno sempre tentato di fare, abbiamo sempre tentato di spostare il confine un po’ oltre le regole del reggae che spesso sono molto rigide. Oggi si direbbe che è un disco seminale”.

Il vostro ultimo singolo è invece “Forty-One Bullets”.  

"Ci siamo ispirati all’omicidio di Amadou Diallo, studente della Guinea, residente a New York, ucciso sulla porta di casa nel febbraio 1999 da quattro poliziotti, poi tutti assolti. Qui abbiamo messo tutta la nostra amarezza e rabbia per questi episodi intollerabili, e purtroppo sempre più frequenti, in cui arroganza, ignoranza e odio razziale possono spingere un uomo ad uccidere un altro essere umano".

L'album «In tempo reale», realizzato con Architorti, è uscito nel 2019 in free download: come mai questa scelta?

"Abbiamo deciso di fare questa operazione già dal disco precedente “Il punto di partenza”. Ci sembrava un gesto carino per i nostri fan, per chi ci segue da anni. Bisogna rendersi conto che un gruppo esiste negli anni perchè c’è un pubblico che lo segue. Al di là del fatto che oggi non c’è nemmeno più bisogno di scaricarsi le cose, basta andare su Spotify e non si occupa nemmeno spazio sull’hard-disk, abbiamo comunque ottenuto più di 70.000 download, che è un segno indicativo dell’affetto che molti provano ancora per noi".

Quarant'anni di Africa Unite: il momento più bello?

"Quello fra il 1993 e il '94 quando per la prima volta un'etichetta, seppur indipendente, la Vox Pop,  ci ha messo a disposizione il budget per fare un disco, un ufficio stampa per promuoverlo e una distribuzione per distribuirlo. Quella è stata una cosa che ci ha fatto ben sperare, ci ha fatto vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Suonare è sempre stata la nostra passione, il nostro sogno e poterlo far diventare anche una fonte di sopravvivenza economica non era una cosa così scontata. E’ stato l'inizio di tutto, il momento in cui abbiamo capito che potevamo coltivare il nostro sogno e farlo diventare realtà".

Cosa ti diverte di più nell'essere on stage?

"Il live è la cosa più bella, è il momento in cui dai qualcosa, cerchi di trasmettere delle vibrazioni e se vedi che la gente percepisce questo tentativo, ti arriva anche un feedback da parte del pubblico e questo dare e avere è un momento assolutamente molto piacevole. Penso che sia la cosa che più soddisfa non solo me ma anche gli altri del gruppo. Amo anche il momento post concerto quando incontri le persone, parli con loro, ascolti la loro opinione sul live che hai fatto e sulla musica che suoni".

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