Motta fra musica e parole domenica chiude il Festival delle Resistenze

di Fabio De Santi

Sarà il cantautore toscano Francesco Motta a chiudere, domenica prossima in Piazza Cesare Battisti, l'edizione 2018 del Festival delle Resistenze. Per Motta si tratta di un ritorno a Trento dopo il concerto al Teatro di Sanbàpolis nel 2016 per Suoni Universitari e in questa occasione sarà impegnato in un dialogo con il noto giornalista musicale Pierfrancesco Pacoda e offrirà al pubblico anche alcuni brani in versione unplugged. Motta (qui nelle foto di Claudia Pajewski) che con il secondo singolo "La nostra ultima canzone" tratto dal suo nuovo album "Vivere o morire" a raggiunto la scorsa primavera le vette delle classifiche dei brani più ascoltati in Italia, si racconta in questa intervista.

Motta, molti l'aspettavano al varco con il suo secondo disco, come ha vissuto questa fase sempre delicata per un artista?

"Se devo essere sincero per me è stato difficilissimo registrare anche il mio primo album. Fondamentalmente a me fare dischi non piace ma è l'unico sistema che ho per raccontare quello che ho dentro. Quando incido sono sempre molto tormentato e quando finisco mi sembra di essermi tolto un peso e ritrovo una certa serenità".

Un lavoro che è stato accolto in maniera più che positiva trascinato da un paio di singoli azzeccatissimi: soddisfatto?

"Non ho mai avuto troppa ansia di sapere come vengono accolti i miei lavori dalle persone anche se ovviamente come artista ti auguri sempre che quello che fai possa piacere e venga apprezzato. Questo disco in qualche modo lo dovevo fare per forza, per me stesso, per quello che avevo da dire. E così è stato". Da dove un titolo così perentorio come "Vivere o morire"? "Mi sono guardato indietro e ho visto che tutta la mia vita, quello che sono stato e quello che sono, è il risultato di scelte binarie, di momenti in cui era questione di esserci o non esserci. Da qui vivere o morire, una scelta decisa che non tiene in considerazione l'idea di un possibile compromesso".

Rispetto al debutto, "La fine dei vent'anni", dal punto di vista dei suoni quali contorni ha questo album?

"La fine dei vent'anni lasciava tante porte aperte non andava in una direzione precisa anche perché allora come nel registrare il nuovo cd non mi ero messo in testa un genere preciso, un'idea di sound da seguire anche perché se ti imponi qualcosa di rigido rischi di dare forma a qualcosa di poco spontaneo di molto artificiale. In "Vivere e morire" c'è sicuramente più sintesi, più chiarezza, sia nel linguaggio che uso sia nella musica che accompagna i testi. "La fine dei vent'anni" esprimeva una certa confusione creativa, bellissima sia chiaro, mentre ora i contorni sono più definiti, più fluidi e lucidi. A pensarci bene lo è anche la mia vita un tantino meno confusa di due anni fa".

Ma le piace la parola cantautore o la vede come tanti suoi "colleghi" delle nuove generazione come un termine vetusto?

"Mi piace tantissimo. Io scrivo e canto le mie canzoni quindi fino al momento in cui non si conia un termine migliore di quello di cantautore mi ritrovo in questo per nulla vecchio ma anzi molto attuale".

A proposito di cantautori lei si sente parte di una nuova scena italiana?

"Non credo si possa parlare oggi di una scena però è evidente che negli ultimi anni si sia ridestato un notevole interesse anche nei giovani per la musica italiana rock e dintorni. Dopo un periodo di buio ora c'è un bel fermento. Per quanto mi riguarda ci sono dei colleghi che ascolto ed apprezzo e altri che mi piacciono meno come normale che sia però mi reputo fortunato di poter vivere in questo periodo di rinascita".

 

Una rinascita che per Motta si lega anche a ben due Targhe Tenco nel 2016 e quest'anno.

"Vedere il mio nome accanto a quello di Luigi Tenco mi ha emozionato. Le due targhe mi danno però anche una bella responsabilità e mi viene un tantino di ansia a pensare al terzo disco?ma c'è tempo".

 
Gruppo:  Cultura
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