Su il sipario, c'è Venezia

Che persona era Neil Armstrong, il primo uomo che ha messo piede sulla luna quasi mezzo secolo fa? A chi ha pensato quando ha lasciato la traccia del suo piede e, poco dopo, cosa attraversava la sua mente mentre saltellava con leggerezza nei dintorni della navicella? 

È su questi interrogativi che si sviluppa First Man, del premiatissimo (per «Whiplash» e «La La Land») Damien Chazelle, che ha aperto mercoledì 29 agosto il concorso per la sezione più importante (quella che assegna i mitici Leoni) della 75ª Mostra del Cinema di Venezia.

Ispirato al romanzo biografico di James R. Hansen, il film si è mosso lungo coordinate che evocano i personaggi di alcuni lavori di Eastwood e di Spielberg (che è anche il produttore esecutivo del film), celebrati come eroi a tutto tondo che in cuor loro e nelle loro scelte riescono a coniugare le proprie vicende e scelte esistenziali individuali con i valori culturali e politici, propri degli States, che portano dentro di sé da sempre. «Volevo capire cosa - ha spiegato il regista - potesse avere spinto quegli uomini a intraprendere un viaggio nella vastità dello spazio e quale sia l’esperienza vissuta, momento dopo momento. E per poter capire dovevo necessariamente addentrarmi nella vita privata di Neil. Una storia articolata tra la Luna e il lavello della cucina, tra l’immensità dello spazio e il tessuto della vita quotidiana. Ho deciso di girare il film come un reportage della missione nello spazio e di catturare in parallelo i momenti più intimi e privati della famiglia Armstrong».

Cruciale di questo doppio punto di vista è proprio quello dello sbarco sulla Luna del protagonista: sappiamo che è lui ma sul vetro del suo scafandro possiamo vedere solo il riflesso anonimo del prevedibile paesaggio circostante con i suoi crateri e le sue ombre; poi, per qualche attimo, affiorano i tratti del volto di Neil e il suo pugno che si apre per affidare alla Luna il braccialetto della figlia morta da piccola per un tumore, coniugando i suoi più intimi e inconfessati (anche alla moglie) sentimenti al sogno della «nuova frontiera» kennediana (in un filmato d’epoca Kennedy coniuga il suo ideale di futuro per l’America anche con le conquiste spaziali) che tanti avversari aveva conosciuto, a destra come a sinistra.

È sulla narrazione del privato che il film risulta più autentico e coinvolgente, con un tratteggio efficace dei personaggi (Armstrong, la moglie, i figli, ma anche gli altri astronauti con le loro famiglie) e delle situazioni esistenziali con le ambizioni, le insicurezze, le speranze e i lutti che si trovano a vivere. Mentre risulta più scontato (e prevedibile anche dal punto vista spettacolare) sul versante della preparazione e della realizzazione dell’impresa.
Chazelle, in ogni caso, si conferma un ottimo narratore, ricco di idee e di invenzioni, e Ryan Gosling uno splendido attore. Notevole anche l’interpretazione di Claire Foy nel ruolo della moglie di Neil.

Misurato tematicamente, essenziale e ben costruito nella narrazione Sulla mia pelle di Alessio Cremonini che ha aperto la sezione Orizzonti (che propone molte opere prime e giovani autori da scoprire per l’originalità dei loro sguardi). Il suo intento dichiarato di «far parlare» Stefano Cucchi (interpretato con partecipata efficacia da Alessandro Borghi) in prima persona facendogli ricostruire i suoi ultimi giorni di vita nell’ottobre del 2009 tra caserme dei carabinieri, tribunali, carceri e ospedali, picchiato, sofferente, malcurato e abbandonato dalle ipocrisie, dalle superficialità e dall’irresponsabilità di molti. Un film che riesce ad opporsi con convinzione al silenzio, definito dall’autore «la più grande delle ingiustizie».

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