Arco si mette un abito reggae

di Fabio De Santi

Sono gli Africa Unite , da leggere come la più amata e creativa reggae band italiana di sempre, i protagonisti principali del Sideout Arco Festival che si svolgerà giovedì 14 al Climbing Stadium: un evento, organizzato da Sideout e Fiabamusic in collaborazione con il Comune di Arco che anticiperà il concerto di venerdì 15 con Ian Anderson dei Jethro Tull e che vedrà gli Africa Unite puntare anche sul loro ultimo album, Il punto di partenza . Proprio da questo disco e dalla scelta delle band di diffonderlo gratuitamente on line ha preso le mosse la nostra intervista con Bunna , nome d'arte di Vitale Bonino il vocalist della formazione piemontese.
Bunna, da dove viene la decisione di far scaricare gratuitamente dal vostro sito l'ultimo album?
«Dalla riflessione e dalla constatazione che la fruizione della musica negli ultimi anni sta cambiando in maniera sempre più vorticosa. Anche quando i dischi si vendevano in realtà la nostra principale fonte di sostentamento economico erano i concerti ma oggi lo è ancora di più. Così abbiamo pensato che il fatto di regalare un disco fosse una bella cosa per chi ci segue da anni e per chi magari ci ha scoperto da poco, una mossa per far girare più liberamente la nostra musica e portare sempre più gente a venire ad ascoltarci. I live, per fortuna, non si possono ancora masterizzare».
Soddisfatti di questa operazione, a che cifre siamo?
«Siamo rimasti stupiti. Abbiamo superato da poco i cinquantamila download che sono una cifra importante anche perché anche il download è quasi uno strumento superato. Ormai tutto quasi è on demand e si può ascoltare tutto senza averlo sul proprio hard disk. Tutto è sempre più virtuale, nonostante un ritorno al vecchio caro vinile. Comunque i tanti download dimostrano un'affezione da parte del pubblico per noi che suoniamo da tanti anni e questo ci fa piacere, è una bella cosa»
E un titolo come «Punto di partenza» cosa delinea?
«Proprio rispetto a quello che dicevamo prima sui nostri tempi musicali, abbiamo pensato ci fosse la necessità di approcciarsi in modo diverso al nostro pubblico e alla musica. Questo con un'attitudine più vicina allo spirito dei giorni nostri e quindi questo disco è un punto di partenza verso un futuro speriamo ancora ricco di sorprese per noi e per chi ci ascolta».
Che disco è dal punto di vista dei suoni?
«È un album che ci rappresenta per quello che siamo oggi come Africa Unite. Ha delle divagazioni più elettroniche e più moderne e che rappresenta la mia anima e quella di Madaski che abbiamo sempre tirato le fila di questo progetto. Dal punto di vista dei testi abbiamo messo sotto forma di canzoni alcuni pensieri che abbiamo sempre avuto e magari non avevamo mai pensato di far diventare una canzone. Ad esempio abbiamo detto la nostra sull'immaginario del reggae e del rastafarianesimo spiegando che amiamo il reggae ma non viviamo a Kingston. Non abbiamo mai voluto calarci in una parte, non siamo giamaicani ma italiani e proviamo a raccontare la nostra realtà e società, quello che viviamo senza il rischio di essere farlocchi».
Oltre trent'anni di carriera: qual è il segreto degli Africa Unite allora?
«Direi che ci siamo sempre divertiti a suonare e a salire su un palco. Per noi la musica non è mai diventata un lavoro, una routine. Se manca quell'emozione li credo sia il caso di smettere ma per ora per noi non è arrivato quel momento. C'è ancora tanta voglia di macinare note e sudore, dialogando con il nostro pubblico».
Parliamo del live
«Abbiamo rinnovato la scaletta rispetto ai tour dei club, ci saranno molte canzoni tratte da "Punto di partenza" insieme a brani che pensiamo essere rappresentativi rispolverati dai nostri sedici album. Abbiamo pensato ad un live con un'attitudine quasi da dj nel senso che i pezzi sfociano uno nell'altro con una certa continuità come se fossero mixati. Un taglio più moderno se vuoi, ci siamo divertiti a farlo con citazioni e medley curiosi».

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