I profughi trentini in Moravia nella Grande guerra

All’inizio della (Grande) guerra il Trentino contava 386.000 abitanti: 60.000 furono richiamati nell’imperial regio esercito, una parte della popolazione aderì all’Italia, 1.700 furono internati per motivi politici oppure venne loro vietato di lasciare il posto, 114.000 trentini, un terzo degli abitanti, furono trasferiti in Austria, Boemia e Moravia».
Questo si legge nelle prime pagine del volume di Ivana Bojdová, Eva Šebková e Karel Šebek «Profughi italiani in Moravia del Sud negli anni 1915-1919», Centro Studi Judicaria che sarà presentato venerdì 18 alle 20.45 alla Sala Rosa della Regione Trentino-Alto Adige (introduzione del direttore de «l’Adige» Pierangelo Giovanetti, interventi di due tra gli autori, Eva Šebková e Karel Šebek, Giuliano Pellegrini dell’Associazione culturale amici della Boemia e della Moravia, Ivo Polák sindaco di Blansko, Adéla Rubešova viceambasciatrice della Repubblica Ceca a Roma, Lorenzo Baratter, storico e Graziano Riccadonna presidente del Centro Studi Judicaria.
Una terra, il Trentino, all’epoca Tirolo Italiano, che pagò a prezzo altissimo la scelta dissennata di chi volle quel conflitto. Così Baratter nella prefazione al volume ricorda che il comandante austriaco della Fortezza di Riva del Garda alla popolazione che sfollava ricordava che «ciascuno potrà portare seco viveri per alcuni giorni, una posata nonché una coperta... Nessuno potrà prendere seco nella ferrovia bagaglio eccedente il peso di 10-15 kg. altrimenti dovrebbe lasciarlo indietro tutto». Il dramma: lasciare tutto indietro, una vita, la casa, gli animali, i campi, la memoria, il cuore. Alcide Degasperi al Parlamento viennese parlò di quella gente dispersa e vilipesa  come «rovine di un popolo, membri sparsi di un organismo entrato in agonia».
Nel volume di Bojdová, Šebková e Šebek,(tradotto per opera dell’Associazione culturale amici della Boemia e della Moravia di Ledro) sono riportati documenti e aneddoti relativi ai profughi trentini, mille dei quali vi sono anche elencati. Sono riportati fatti sulla vita dei profughi e fotografie di aspetti meno conosciuti del periodo di allontanamento forzato dalle proprie case, ad esempio del lavoro nelle fabbriche di munizioni delle donne e dei ragazzi trentini. Attraverso la trascrizione di stralci di documenti originali, di cronache comunali, l’opera tenta una ricostruzione delle difficoltà dell’organizzazione per la sistemazione dei profughi, dei problemi della vita quotidiana, della distribuzione dei sussidi, dell’organizzazione delle scuole, e di tutti gli aspetti della convivenza con la popolazione morava che per quasi quattro anni convisse con i profughi «tirolesi».
Cosa rimaneva di quelle decine di migliaia di sfollati «verso nord» nel 1918, alla fine del conflitto (senza troppo appuntare la nostra attenzione sui soli numeri, certamente solo indicativi): un documento del 27 luglio 198 parlava di 11.742 profughi che stavano in Boemia, in 667 località; 8.389 in 467 località della Moravia; 3001 in 117 località dell’Austria Superiore;   2.284 in 35 località dell’Austria Inferiore; 1.973 nel Salisburghese, in 27 località. Ma alla lista mancavano i profughi sparsi nel Tirolo, in Vorarlberg, quelli di Katzenau, «gli internati ed i paganti».

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