Addio a Vassalli: sua la critica del metodo «etnico» in Sudtirolo

Lo scrittore Sebastiano Vassalli è morto a 73 anni, nella notte, all’ospedale di Casale Monferrato, dove era stato ricoverato per l’aggravarsi della malattia di cui soffriva da tempo. Arrivato al successo con «La Chimera», nel 1990, vincitore dei maggiori premi letterari italiani, tra cui lo Strega e il Campiello, fra i suoi libri c’è «Sangue e suolo» (Einaudi, 1985), probabilmente il più noto testo italiano dedicato alla questione sudtirolese.

Vassalli era nato a Genova il 24 ottobre del 1941 e ha vissuto quasi la sua intera esistenza a Novara, o per essere più esatti nelle campagne della pianura novarese, a Biandrate.
Figlio di madre toscana e di padre lombardo, si era laureato a Milano con Cesare Musatti. Dopo un periodo di insegnamento, la via della letteratura. Il successo è giunto nel 1990, con la Chimera, romanzo storico ambientato nel 1628. È la storia di un processo (vero) a una strega nella Milano dei Promessi Sposi.

Tra i suoi libri di maggior successo, «La Notte della Cometa», biografia-romanzo di Dino Campana, «Marco e Mattio», «Cuore di pietra», «Un infinito numero».
Lo scorso maggio Vassalli ha ricevuto dall’accademia del Nobel la candidatura al premio 2015 per la Letteratura.
«La Chimera», titolo scelto per il suo romanzo di maggior successo, altro non è che il Monte Rosa agli occhi dei contadini che, tormentati dall’afa e chini sulle risaie, alzavano gli occhi verso l’orizzonte e vedevano, lontano, il massiccio della montagna innevata.

Nel 1985 Vassalli salì in Sudtirolo per cercare di capire la cosiddetta questione altoatesina. Ne uscì un libro importante, critico e anticonformista pubblicato da Einaudi col titolo «Sangue e suolo». Un libro che mise a nudo le difficoltà della convivenza etnica e linguistica. Un testo che criticava duramente la proporzionale etnica.

Nel 2004 l’Adige incontrò Vassalli e gli chiese se oggi riscriverebbe quel testo. «Come idee - rispose lo scrittore al giornalista Maurilio Barozzi - non le ho mutate sull’argomento. Riscriverei dalla prima all’ultima riga di quel libro. Sono dell’opinione che sia attuale e mi pare che gli sviluppi attuali della composizione etnica non mi diano torto. Anzi. Come scrittore, invece, non lo riscriverei. Non mi ha dato molto. Potrei dire che mi ha fatto prendere solo legnate: tutti si sentivano criticati e nessuno ha mai parlato dell’opera in quanto tale. Vuole sapere qual è stato il miglior complimento per quel libro? La critica letteraria di un giornale di Zurigo in lingua tedesca, ha scritto: “Passate tutte le polemiche, finalmente, resterà il libro”.

Ha avuto da subito una difficile genesi. Prima che Einaudi lo pubblicasse, con mille riserve, Garzanti non lo pubblicò pur avendomelo già pagato. E poi anche Bollati, quando ormai sembrava tutto fatto, si tirò indietro.  Einaudi lo ha stampato e fatto uscire a fine luglio, quando la gente è in ferie. In casa editrice non c’è nessuno. Le librerie sono deserte. Mi chiamò uno dei leader sindacali altoatesini di allora. Di An. Mi chiese se volevo andare a presentare il libro a Bolzano.
Disse: “Al palazzetto dello sport”. Io non risposi subito. E lui interpretò il mio silenzio come una perplessità sul luogo. Così mi rassicurò: “Stia tranquillo, lo riempiamo”. Poi rifiutai. Non volevo prestarmi a strumentalizzazioni politiche.

La Volkspartei organizzò una riunione ristretta dei suoi vertici per riuscire a capire una cosa: chi mi avesse commissionato il libro. Come se uno non potesse pensare un problema e raccontare una storia autonomamente. E decisero che “i mandanti” erano quelli del Pci. Un esponente della Svp, mi pare fosse Benedikter, si presentò ad una riunione dei comunisti. Questi trasecolarono a quella visita. E lui disse qualcosa del tipo: “Dobbiamo parlare del libro di Vassalli”.
E lo stesso Magnago, qualche tempo dopo, andò alla festa nazionale dell’Unità - in Trentino -, per ribadire la contrarietà a quell’operazione. Che, ovviamente, non esisteva.
Poi però “investirono” qualche cosa come un paio di miliardi per far scrivere quattro o cinque libri di tesi contraria. Come sempre in lingua tedesca».

Dopo l’uscita del libro si ridiscusse della questione altoatesina anche in Parlamento. «Presentò un documento Zangheri del Pci. Ne presentò uno Zanone, allora segretario del Pli. Ma non citarono mai né me, né il libro. Dal mondo della politica mi venne solo una soddisfazione: una lettera con due righe di complimenti da parte di Giulio Andreotti».

Una dozzina di anni più tardi, in occasione di una ristampa del 1997, Vassalli ribadì le sue critiche alla separazione etnica parlando di «società immobile». E nel 2004 le confermò all’Adige:  «Mi spiace: è una cosa bestiale. D’accordo, so quello che si dice: probabilmente ha evitato un’altra Bosnia. Su questo sono d’accordo. Ma resto dell’idea che sia un meccanismo bestiale. Tanto è vero che non viene esportato in nessun altra parte del mondo. A vederlo e studiarlo vengono da molte parti del mondo. Ma poi nessuno lo applica».

Dunque, tutto sommato, in Sudtirolo la proporzionale ha funzionato. Solo una faccenda di soldi pubblici?  «No. Non è solo per una questione di soldi. C’è tutto un sistema che lo ha alimentato. Anche gli alternativi, come per esempio Alex Langer, a Bolzano facevano il diavolo a quattro ma a Roma, a Berlino, a Vienna dicevano che le cose vanno bene, che le persone in Sudtirolo sono in pace e stanno bene, che ci sono molti matrimoni misti.
Il fatto è che non è così: gli italiani se ne vanno. Con questo non voglio dire che Langer non sia stato importantissimo per molte battaglie di questa terra».  

E sul Trentino e la sua autonomia special, Vassalli confessò all’Adige: «Non ne so molto. La cosa che so me l’ha detta un altoatesino sotto forma di battuta: i veri privilegiati sono i trentini, che hanno l’autonomia speciale e non hanno i tedeschi. Una battuta... A proposito, è così?».

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