Ricerca: Berlino non ha indennizzato Atene per i danni di guerra

Qualche giorno fa il nuovo ministro degli Esteri greco si è presentato con un foglio in tasca, a Berlino, per rivendicare, ancora una volta, le riparazioni di guerra, un totale di 11 miliardi di euro. E Der Spiegel spiega, oggi, quale sia il motivo di tanta insistenza.

Stando al settimanale tedesco, infatti, anche se il governo di Angela Merkel ritiene che il caso sia chiuso, le pretese di Atene non sarebbero illegittime. Dal punto di vista giuridico, scrive, la questione «non è ancora chiara»: Atene non ha mai fatto ricorso alla Corte di giustizia internazionale. E dal punto di vista storico, la Germania dovrebbe fare i conti con la circostanza che Helmut Kohl liquidò le richieste greche «barando».

La ricostruzione dei fatti avviene grazie a documenti dell’anno della rivoluzione 1989-'90, di cui il settimanale ha preso visione. All’epoca il cancelliere cristiano-democratico e il suo ministro degli Esteri liberale, Hans-Dietrich Genscher - scrive Spiegel - avrebbero «tenuto i greci lontani dal tavolo» delle trattative sulla riunificazione tedesca, usando poi escamotage diplomatici per non sedersi di nuovo a fare i conti.

Un passo indietro porta al 1945, quando la Grecia - secondo lo storico Hagen Fleischer, tra i Paesi più danneggiati dai tedeschi (100 mila morti di fame, 50 mila ebrei deportati e gasati, 100 mila edifici distrutti, come quasi tutti i ponti ferroviari, e l’affondamento delle navi commerciali) - chiese 14 miliardi di dollari di danni di guerra alla Germania.

Sotto la pressione degli Usa, la cifra fu dimezzata. Ma invece dei 7 miliardi dovuti, i tedeschi pagarono per un ammontare di 25 milioni, mentre francesi inglesi e sovietici si assicuravano versamenti di diversi miliardi. Nel 1953, ricorda ancora Spiegel, Atene firmò, come gli altri paesi vincitori, l’accordo sul debito di Londra, nel quale i tedeschi si impegnarono a verificare le richieste quando si fosse raggiunto «un accordo di pace o qualcosa di simile».

Nel 1965 fu Ludwig Erhard a promettere che le riparazioni sarebbero state pagate quando si fosse arrivati alla riunificazione. Affermazione che, secondo il governo tedesco, non comparirebbe in alcun documento ufficiale, ma che fu raccolta da un ministro ellenico e sarebbe stata in linea con quanto deciso a Londra.

Nel 1989 Kohl e Genscher temono che si giunga a una conferenza di pace, con i 53 paesi ex nemici durante la guerra che battono cassa. Il governo definisce «inaccettabile» il tema delle riparazioni, sostenendo che la Germania ha perso 1/4 del suo territorio e ha già pagato più di ogni Paese sconfitto della storia moderna. Le trattative sulla riunificazione, come noto, si sono svolte con un numero ristretto di paesi (Gran Bretagna, Francia, Usa, Unione sovietica).

Viene citato anche un Genscher che risponde alle richieste dell’allora ministro degli Esteri italiano Gianni de Michelis, che vuole far partecipare anche Roma, con un secco «you’re not part of the game», non fate parte del gioco.

Alla fine francesi e americani dichiarano di non avere più nulla da rivendicare: «Non si può ricominciare, 50 anni dopo la fine della guerra, a parlare di riparazioni», dice per esempio George Bush padre. Solo i sovietici mantengono la questione aperta e la rivendicazione greca rimane ancora sul tavolo: i crediti imposti dal Reich tedesco alla banca centrale ellenica e i danni di 4 anni di occupazione, (rivendicati ora da Tsipras).

Il tavolo invece di chiamarsi «di pace» è stato definito, per volontà tedesca, «regolamento definitivo di diritto internazionale e sostituzione dei diritti delle quattro potenze». Proprio per evitare rivendicazioni come quelle greche di oggi.

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