40 anni di carriera, una mostra per Renato Zero

Non un reliquiario, né una mostra puramente celebrativa, ma un percorso multimediale e altamente tecnologico che attraversa 40 anni di carriera e di storia personale dell'artista e 40 anni di storia d'Italia. È Zero, la retrospettiva dedicata a Renato Zero, dal 18 dicembre al 22 marzo alla Pelanda del Macro, a Roma. Un viaggio alla scoperta delle connessioni del cantautore con il mondo che lo circonda, in cui si è immerso completamente in qualche caso anche anticipandone mode e cambiamenti. Un percorso narrativo e di liberazione dagli schemi, che parte dai primi passi nel mondo della musica, passando per il tunnel buio - non solo metaforicamente - degli anni Ottanta, fino ad arrivare alla rinascita degli anni '90. Fil rouge della retrospettiva è il Dna, il filo genetico che se da una parte rappresenta l'essere umano, dall'altra è comunque diverso per ciascuno di noi, rendendoci unici, come Renato Zero.

Unico nel panorama musicale italiano, originale, provocatorio, ma anche testimone di un Paese in trasformazione. Con le sue canzoni ha raccontato l'uomo, le sue maschere, il sesso, gli ultimi. Ha sdoganato con anni di anticipo argomenti come la pedofilia, la droga, l'identità di genere. Il via al percorso narrativo lo dà l'immagine di un feto nel ventre materno, simbolo di qualcosa che sta nascendo, di qualcosa che sarà, con il ritmo dei battiti cardiaci che riporta alla memoria il bit dei futuri concerti di Zero. Lo spettatore viene poi catapultato nel mondo di Zero, passando da una bussola interiore i cui punti cardinali sono i temi fondanti della sua arte: il nord punta in alto a Dio; il sud agli Ultimi - le minoranze, le periferie verso cui ha mostrato sempre attenzione -; l'est, dove nasce il sole, è Roma, città natale da cui trae forza e ispirazione; l'ovest - in ombra - è il sesso. Tra citazioni di Virginia Woolf, Pier Paolo Pasolini, Ignazio Silone, sulla libertà e l'identità, che creano connessioni inaspettate con la poetica di Zero. "E adesso accusino pure ogni mia passione, mi infanghino, mi dicano informe, impuro, ossesso, dilettante spergiuro", scriveva Pasolini e Renato Zero risponde "Io sono qui, insultami, feriscimi, sono così, tu prendimi, cancellami".

Lo stesso desiderio, la stessa urgenza di parlare di certi temi, anche se i due non hanno mai incrociato le loro strade. C'è il tema del doppio, dello specchio, poi il tunnel buio, metafora degli anni della caduta - in cui rimbombano domande che non attendono risposte, sentenze ciniche che l'avrebbero potuto affossare per sempre -, per riemergere nella luce della costellazione di tutti i suoi successi e riconnetterlo al suo pubblico. Il saluto è ironico, con dieci frasi alla Zero. "Fb? Preferisco il citofono". "Mia madre mi poteva fare più bello, ma non più fijo de mignotta". La mostra è stata ideata e curata da Simone Veneziano e prodotta da Tattica, mentre la direzione artistica e la scrittura dei testi è di Vincenzo Incenzo. Gli allestimenti dono di N03! e la ricerca storica è stata affidata a Fonopoli.

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