Giustizia / La vicenda

Il giudice dà ragione a marito e moglie "affumicati" dal camino del vicino, ma il caso va in Cassazione

È accaduto in un paesino del Trentino: per quasi cinque anni i coniugi hanno dovuto fare i conti con le esalazioni della canna fumaria che si trovava a pochi metri dalle finestre. Ora la Corte d'appello, per ragioni tecnico-giuridiche, ha girato il ricorso dell'imputato direttamente alla Cassazione

di Marica Vigano'

TRENTO. La vicenda si potrebbe riassumere così: in un paesino del trentino, marito e moglie per quasi cinque anni hanno avuto la casa affumicata dal camino del vicino, costretti a respirare l'aria non salubre (per la donna, anche nei nove mesi di gravidanza). Una storia che non è nuova in un territorio come il nostro, ricco di borghi con case edificate l'una accanto all'altra, anche in luoghi in pendenza, e dunque con la possibilità che il camino di un'abitazione sia alla stessa altezza dell'affaccio delle finestre della casa vicina.

Curioso è che la questione non solo sia finita in tribunale, ma che ad analizzare il ricorso sarà la Corte di Cassazione.

In primo grado il giudice aveva dato ragione alla coppia che ha denunciato il vicino per il fumo che proveniva dal suo camino (il reato è getto pericolo di cose): marito e moglie hanno ottenuto un risarcimento di 10mila euro, mentre l'imputato, che si era opposto ad un decreto penale di condanna, ha pagato un'ammenda di 206 euro.

L'uomo ha però presentato ricorso: tre giorni fa la Corte d'appello ha dichiarato la sentenza inappellabile dato che il procedimento era terminato con una ammenda, e per questioni tecnico-giuridiche ha "girato" il ricorso direttamente alla Cassazione.

Significa che passerà a Roma una questione "paesana" che però potrebbe interessare anche chi vive in città, dove spesso i balconi degli attici sono affacciati sui tetti.

Nel caso di cui si è discusso in tribunale a Trento, la coppia che si è costituita parte civile lamentava che il camino del vicino, posto a quattro metri dalle proprie finestre, recava «molestia e disturbo».

I fumi provenivano dalla stufa a legna del riscaldamento domestico, che a quella quota viene utilizzato per 7-8 mesi all'anno. L'abitazione dell'imputato risultava infatti di altezza inferiore a quella dei vicini e dunque non era garantita una adeguata dispersione dei fumi.

Marito e moglie, le vittime, erano «affetti da allergie e problemi respiratori» e, come si legge nel capo di imputazione, subivano «grave pregiudizio per la loro salute dall'impossibilità di areare i propri locali e dall'inalazione di fumi e gas combusti penetranti all'interno della loro abitazione pure a finestre chiuse».

Tali fumi, secondo l'accusa, raggiungevano anche altre abitazioni, i cui proprietari non hanno però presentato denuncia.

I fatti ricostruiti in aula e sui quali ora darà una propria valutazione la Cassazione sono accaduti fra il 2014 ed il 2019, finché l'imputato non ha cambiato sistema di riscaldamento.

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