Funamboli / La storia

I trentini che camminano a due passi dal cielo: la magica passeggiata anche sopra Bologna

Gemma Manara e Federico Liserre sulla «slackline»: hanno partecipato alla kermesse in piazza Maggiore nel capoluogo emiliano: «Ci piacerebbe portarla anche a Trento»

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di Elena Piva

TRENTO. Il 7 agosto 1974 la titanica traversata newyorkese dell'artista e funambolo francese Philippe Petit attirò l'attenzione internazionale: salito sul tetto di una delle due Torri Gemelle, a 400 metri d'altezza, camminò fino a quello dell'altra (otto volte) in equilibrio su un cavo di acciaio lungo più di 60 metri. «Chi è fiero della propria paura osa tendere cavi sui precipizi; si lancia all'assalto dei campanili, allontana e unisce le montagne - scrisse nel 1999 - ecco il viaggio da fare: alzati quando il filo si mischia alla carta del cielo».

Bastano queste parole per comprendere che il funambolismo rappresenta la celebrazione della vita e della capacità di utilizzare le paure come arma per non cadere dal crinale delle difficoltà. Sabato scorso un'intera città italiana è rimasta con l'emozione in gola per «Bologna a testa in su. Sospesi tra le torri», una camminata mozzafiato tra il Campanile di San Pietro e la Torre Prendiparte, a 60 metri d'altezza, organizzata dall'asd «Slackline Bologna» (con il sostegno del Comune). A mostrare le loro abilità anche due slackliner trentini: Gemma Manara, 25 anni di Trento che viaggia per il mondo ed è in procinto di diventare educatrice cinofila e Federico Liserre, ventitreenne di Tenno che frequenta l'ultimo anno della triennale in Tecnologie agrarie all'Università di Bologna.

«I miei primi contatti con lo slacklining arrivarono da piccolo - racconta Federico Liserre - regalarono un kit a mia cugina. Cominciai a provare, mi piacque molto ma praticando altri sport e avendo l'impegno scolastico non mi immersi del tutto. Un giorno, al primo anno di Università, vidi ai Giardini Margherita di Bologna dei ragazzi camminare su fettucce larghe 2,5 centimetri, più sottili rispetto a quelle che conoscevo e fissate per 60 metri in lunghezza. Così scoprii la longline, il camminare sulle lunghe distanze per mezzo di una linea».

Prosegue Liserre: «Tornato a casa iniziai a praticarla da solo, acquistando il set e andando a cercare degli alberi a cui attaccare la fettuccia per poter migliorare». «Per me non è stato amore a prima vista - spiega invece Gemma Manara - mi sono avvicinata a questo sport cinque anni fa grazie a Filippo, un ragazzo conosciuto a Bologna durante il periodo universitario. Ho impiegato parecchio tempo prima di convincermi che fosse adatto a me. Con un po' di costanza è semplice imparare a camminare lungo la linea in un parco ma, quando subentra l'altezza, bisogna fare i conti con la vocina che tenta di convincerti tu stia facendo una cosa folle. Farvi pace insegna ad amare ed accettare la paura così come ogni altra emozione».

Certo, per capire come domare i propri timori è necessario anche trovare un contesto adeguato nel quale esercitarsi. «Causa Covid, vissi il primo anno universitario da casa, dove non conoscevo molte persone che praticavano questa disciplina - sottolinea Federico - un giorno lessi un articolo dedicato a Nazareno Marcantoni, uno dei pionieri trentini. Decisi di scrivergli e, piano piano, mi introdusse all'highline, ovvero il camminare su linee sospese in aria collegando due punti ai quali essere assicurato, con tutte le accortezze per la sicurezza personale. Fonte di difficoltà è la mente, oltre al bilanciamento fisico. S'impara a maneggiare e comprendere i pensieri, continuando ad avanzare nonostante le situazioni stressanti».

Sbaglia chi definisce la slackline un'attività individuale: la solitudine del cammino trova appoggio nella fiducia e nella condivisione con gli altri. «Aggrega e crea fortissimi legami di amicizia - afferma il giovane altogardesano - la paura unisce, non separa mai. È il gruppo che ti spinge a superarla perché la fa propria. Per questo, due anni fa, mi sono avvicinato all'associazione di Bologna. Dopo aver organizzato tanti workshop e meeting, il presidente di "Slackline Bologna" Carlo Maria Sovrini desiderava rimettere in piedi il grande progetto che poi ha avuto luogo il 9 dicembre.

Frutto della visione di altri ragazzi che, alcuni anni fa, fecero la prima passeggiata nel cielo sopra piazza Maggiore, il sogno di "Bologna a testa in su" è germogliato grazie a Sovrini. È lui la nostra testa d'ariete, tanto da avere trovato l'appoggio di Mattia Santori (consigliere comunale, alla guida delle Sardine, ndr.)».

«Attraverso il mondo della slackline - sottolinea Gemma - proviamo a creare un ambiente che possa unire persone senza pregiudizi e, intrecciando storie, abbattere le barriere sociali. Tra i nostri valori c'è il rispetto dei luoghi che abitiamo, della natura che fa sentire accolto ciascuno di noi. Essere legati emotivamente a un luogo rende il tutto più speciale: la linea che abbiamo montato sopra Bologna è stata una delle più intense, essendo il posto in cui ho raggiunto importanti traguardi e costruito da sola la mia vita. Ecco, un po' di pressione c'era, viste le centinaia di persone che hanno alzato gli occhi al cielo per osservarci». Tra mille permessi e l'infinita burocrazia, Federico Liserre e Gemma Manara hanno dunque passeggiato tra terra e nuvole per circa 20 minuti, tempo necessario per l'andata e il ritorno tra il Campanile di San Pietro e la Torre Prendiparte.

La voglia di spronarsi l'un l'altro contro i propri fantasmi ha trasformato una prestazione individuale in gregario di anime. «In aria, dopo aver controllato il nodo e gli appoggi di sicurezza, cerchi di rilassarti - ricorda Federico Liserre - ascolti il tuo respiro ed entri nel tuo mondo, con l'unico pensiero di raggiungere dall'altra parte e la certezza di poter contare sulle persone che tifano e assistono la tua traversata. Ho ammirato da un'inedita prospettiva gli scorci che vivo ogni giorno: è stato indescrivibile. Sto imparando molto anche dal gruppo "Slackline Trentino", che ha portato questa disciplina tra le Dolomiti. Se qualcuno volesse provare, consiglio di immergersi del tutto: insegna ad ascoltare se stessi e permette di trovare una comunità che incoraggia a dare il meglio».

«Mi piacerebbe vedere qualcosa di simile a Trento, sebbene gli step per ottenere i permessi sono lunghi - conclude Gemma Manara - Magari un domani ci vedrete camminare sospesi in piazza Duomo».

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