Il caso / La testimonianza

Caso Pedri, la sorella: “Sara si sarebbe potuta salvare. Vorrei che venisse insegnata l'empatia”

Emanuela Pedri, sorella della ginecologa forlivese scomparsa il 4 marzo del 2021 in Trentino, è intervenuta con un messaggio vocale al convegno “Il mobbing nel pubblico impiego. Un male silenzioso”, organizzato da Fenalt a Trento

 

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TRENTO. “Sara si sentiva sola, emarginata, isolata, abbandonata, non capita, non rispettata. Aveva iniziato a mettere in dubbio se stessa, le sue capacità, e si incolpava fino a che non si è ammalata e ha desiderato di voler scomparire. Tutto questo è successo a lei dal 16 novembre del 2020 al 4 marzo del 2021. Più volte da allora mi sono chiesta se Sara si sarebbe potuta salvare e come”. Così Emanuela Pedri, sorella di Sara, la ginecologa forlivese scomparsa il 4 marzo del 2021 in Trentino, intervenuta con un messaggio vocale al convegno “Il mobbing nel pubblico impiego. Un male silenzioso”, organizzato da Fenalt a Trento.

Nel suo intervento Pedri ha citato la "politica delle porte aperte", che "si basa sulla collaborazione e sul costante confronto tra chi svolge il ruolo di leader e chi, come Sara, passava dalla specialistica all'essere strutturata con chi era già esperto nel suo ruolo, perché da tempo lo svolgeva in quel reparto". Tre sono stati i consigli per le famiglie delle persone vittime di mobbing.

Il primo consiglio è “non sottovalutare il problema, soprattutto se, come nel caso di Sara, ci ha raccontato quello che accadeva attraverso il telefono, attraverso Whatsapp”. Sara, ha aggiunto la sorella “si è trovata catapultata in un reparto dove c'era tutto, fuorché la politica delle porte aperte, come dimostrano sia le sue parole, perché Sara parlava di 'un incubo', sia le molteplici testimonianze delle dottoresse finite agli atti della Procura". Emanuela Pedri ha poi citato tre aspetti fondamentali in un ambiente di lavoro sano. “Sara avrebbe dovuto trovare un ambiente di lavoro che protegge il professionista e la persona, perché il professionista è in primis una persona. E come lo tutela? Attraverso risposte veloci e concrete”.

Il secondo punto, invece, “è la constatazione che il professionista non è solo un individuo a sé, ma parte integrante di un gruppo, dove la squadra vince e perde assieme, dove se sbagli non fallisci, ma impari, dove ti danno la possibilità di crescere e di spiccare il volo". Infine, terzo punto, è eliminare la distanza. “Una distanza che ha portato Sara a una solitudine molto profonda. Sara si sentiva sola tra gli altri”, ha detto la sorella.

“Più di tutto vorrei che venisse insegnata l'empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri. Questa capacità la si dovrebbe insegnare fin da piccoli, attraverso la famiglia, la scuola, le istituzioni”.

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