Credito / Movimenti

La battaglia per il Mediocredito: Bolzano cerca di prendersi la cassaforte, i trentini cercano una strategia

Continua la «scalata» delle Raiffeisen, dopo la debacle trentina: se noi abbiamo la presidenza, loro hanno la maggioranza del cda. E decisive sono le quote di Volksbank, dopo il disinteresse di Cassa Centrale

di Domenico Sartori

TRENTO. Mettere mano alla governance, da una parte; e mettere le mani sul capitale sociale, dall'altra. Sono i due fronti su cui, all'approssimarsi dell'ultimo anno di legislatura a Trento e Bolzano, Cassa Centrale Raiffeisen è in azione per realizzare la mission: il controllo pieno di Mediocredito Trentino Alto Adige spa, per il quale il patto di sindacato che nella primavera 2021 ha portato alla presidenza il trentino Stefano Mengoni ha posto le premesse.

C'è però, nelle more della riservatezza, un contro-piano, che vede la Provincia di Trento in campo, a difesa dell'ultimo spazio di trentinità bancaria rimasto, ad eccezione del mondo delle Casse Rurali che fanno parte del Gruppo Cassa Centrale Banca (Ccb).Il comitato esecutivo della discordia.

La manovra sulla governance, dunque. Il patto di sindacato che ha estromesso Ccb e il credito cooperativo trentino dal governo di Mediocredito è stato sottoscritto dalle due Province di Trento e Bolzano e dalle Raiffeisen, portando ad un cda a maggioranza altoatesina, 6 consiglieri su 11. Riconosceva, quel patto, che la maggioranza del capitale, poco oltre il 50%, è in effetti altoatesina. E la Provincia di Trento si accontentò della presidenza, affidata a Mengoni.

Che però si è ritrovato a gestire un "giocattolo" con i conti straordinariamente positivi, a conferma del buon operato del management, ma che gli altoatesini hanno puntato fin dal primo giorno di insediamento del nuovo cda.

Prima, c'è stato il tentavivo di far adottare il sistema informatico delle Raiffesen. Impresa fallita, perché è bastato affidarsi ad un advisor per dimostrare che non c'è gara e che la piattaforma di Allitude di Ccb è di gran lunga più performante.

Poi, hanno preso di mira il comitato esecutivo. Che oggi non c'è. Che per statuto era solo un'opzione. Che era esistito in un passato remoto, per essere poi accantonato dalla presidenza Senesi. Per una semplice ragione: in una banca less significant, dalle dimensioni contenute come Mediocredito, non ha senso moltiplicare gli organi amministrativi e i costi. Costituirlo, però, ha un significato chiaro, visto da Bolzano: equivale a "cinturare" il presidente Mengoni, riducendone i poteri.

Anche perché il presidente del cda, per disposizioni bancarie fatte proprie dallo statuto, non può presiedere il comitato esecutivo. La scorsa settimana, un passettino ulteriore per perfezionare il "delitto" si è compiuto. Davanti al notaio Tommaso Romoli, i soci di Mediocredito sono stati convocati in assemblea straordinaria per modificare lo statuto. E tra le modifiche c'è l'articolo 15 che stabilisce: «Il Comitato esecutivo è composto da 3 a 7 membri nominati dal Consiglio di amministrazione» (prima erano 7).

Assemblea animata, seguita da una ordinaria, per adeguare i compensi del cda. Da un complessivo di 250 mila euro, comprensivo dei gettoni di presenza (500 euro a seduta), si è passati a 340 mila. L'aumento è un aspetto secondario (anche se di questi tempi potrebbe far discutere). Serve semplicemente a coprire i maggiori costi portati dalla istituzione del comitato esecutivo, che, se avrà tre componenti, avrà il presidente e un membro altoatesino. Vero che ora tocca al cda decidere numero e poteri del comitato esecutivo. Ma è un cda, di cui vicepresidente è Hanspeter Felder (presidente di Cassa Centrale Raiffeisen), a maggioranza altoatesina. In caso di parità prevale il voto del presidente Mengoni. Ma la parità c'è solo se alla seduta manca un membro altoatesino.

Acquisti e tentativi di acquisto. È sul capitale di Mediocredito che però si gioca la vera partita. Le Raiffeisen sono riuscite, nei mesi scorsi, a rafforzare la loro presenza diretta, acquisendo la quota (2,895%) di Volksbank. E hanno presentato un'offerta per rilevare anche la quota di Sparkasse (7,802%) e di Ccb. Quella di Cassa Centrale Banca è condivisa dalle Raiffeisen nel veicolo finanziario Crr Fin (35,207%), primo azionista privato di Mediocredito.

Sparkasse è l'ago della bilancia e Ccb non ha più alcun interesse a tenere in piedi un matrimonio con il credito cooperativo altoatesino, dopo essere stata estromessa dal governo della banca corporate.

In mezzo, però, ci sono i soci pubblici (Regione e due Province) che, formalmente, con il 17,489% ciascuno, detengono il controllo della banca. Arno Kompatscher si era a suo tempo impegnato con Fugatti a cedere alla Provincia di Trento la quota della Provincia di Bolzano (il 26,4%, comprendendo anche metà delle azioni della Regione). Impegno non mantenuto, a fronte delle ambizioni delle Raiffeisen.

Maurizio Fugatti aveva messo a bilancio, per l'acquisto, 22 milioni di euro. Che ora vengono utili per il contro-piano: acquisire, come Provincia di Trento, le quote (oltre il 17%) di Ccb, per poi "girarle" a operatori trentini potenzialmente interessati: Fondo Comune delle Casse Rurali (azionista di Ccb), Itas, Fondazione Caritro...

È il vecchio disegno di creare un'alleanza a Nord-Est, coinvolgendo anche Banca Finint (Gruppo Marchi), per rafforzare la dimensione regionale di Mediocredito, come indicato dal patto parasociale che scadrà il 31 dicembre 2023: una banca corporate e di investimento in cui le Raiffeisen potrebbero avere pure un ruolo sul fronte commerciale e retail. La partita è aperta. C'è un piano industriale in corso di elaborazione con il supporto di PricewaterhouseCoopers. Ma un piano industriale ha bisogno poi di certezze sulla governance. Che ora non ci sono.

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