Politica / Quirinale

Giorgio Postal: “Sì a Mario Draghi al Colle oppure lo perderemo”

È stato parlamentare per sei legislature, tre alla Camera e altrettante al Senato (Intervista uscita il 19 gennaio)

di Paolo Micheletto

Senatore Giorgio Postal, lei che è stato parlamentare per sei legislature e ha avuto l'onore di votare tre presidenti della Repubblica (Pertini, Cossiga e Scalfaro), cosa pensa di Berlusconi al Quirinale?

Non è un personaggio adeguato a riunire. È divisivo. Un'ipotesi che non mi piace.
Ma la ritiene un'ipotesi possibile?
Tutto può essere possibile. Non possiamo escludere una soluzione di questo tipo, anche perché siamo lontani da dove si prendono le decisioni. Non abbiamo una conoscenza diretta. Ma certo, la nomina di Berlusconi darebbe un'immagine negativa dell'Italia.
Chi è il suo candidato ideale per il Colle?
Mario Draghi, uomo di grande personalità. Spero che possa essere eletto presidente della Repubblica, anche perché - in caso contrario - potrebbe rischiare di finire "consumato" dalle vicende politiche nazionali.
Il grande credito di Draghi verrà bruciato?
Si andrà alle elezioni, e la carica di presidente del Consiglio verrà assegnata al capo dello schieramento vincente. Ecco perché è forte il rischio di disperdere il patrimonio Draghi, se non verrà eletto alla presidenza della Repubblica.
C'è chi sostiene il contrario: Draghi deve governare, al Colle il suo lavoro verrebbe interrotto.
Ma io credo che le cose siano ben avviate. E che la sua personalità si farebbe sentire anche dal Quirinale.
C'è chi dice che dopo il voto del nuovo capo dello Stato qualcuno staccherà la spina al governo. Magari Salvini.
Di Salvini non so. Io parlo della situazione politica in generale: e le divisioni indeboliscono, sempre.
Ma lei che è stato un uomo di punta della Democrazia cristiana non si impressiona davanti alla politica che chiede aiuto ai tecnici?
Guardi, la politica sarà costretta a riformarsi, in futuro. È un'esigenza che non si può rinviare.
Draghi non farebbe invasioni di campo sul «suo» governo appena lasciato?
Io dico che la Costituzione impone limiti ben precisi rispetto all'ipotesi di Draghi presidente della Repubblica e "di fatto" del Consiglio. È chiaro peraltro che la sua autorevolezza sarebbe molto forte.
Sergio Mattarella che presidente è stato?
Un grande presidente.
Siete amici?
Non posso definirmi amico. Di sicuro ci conosciamo da tanto tempo, da quando venni nominato commissario della Democrazia cristiana a Palermo (1991-1992) e lui era parlamentare della sua città.
Crede in un Mattarella bis?
Va tenuto conto che il Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni sarà molto diverso da quello attuale, in virtù della revisione costituzionale. Prevedere che Mattarella arrivi fino alle prossime elezioni politiche potrebbe essere una scelta possibile.
Ma lei la ritiene improbabile.
Il diniego di Sergio Mattarella mi sembra assolutamente fermo, fino ad oggi, ed è motivato da buone ragioni. Vi ricordo poi che quella di Mattarella non sarebbe una proroga, che non è prevista dalla Costituzione. Inizierebbe un mandato pieno.
Favorevole a una donna presidente?
In alternativa a Draghi andrebbe bene l'elezione di una donna: di sicuro sarebbe un fatto innovativo.
Come si arrivò al via libera della Democrazia Cristiana all'elezione di Sandro Pertini?
Ricordo l'attacco frontale al presidente Leone dopo l'assassinio di Aldo Moro. L'Italia viveva quindi il dramma delle accuse alla massima carica dello Stato e una tragedia che aveva colpito tutti nel profondo. Il percorso di costruzione di un governo di solidarietà nazionale fu il contesto determinante che portò all'elezione di Pertini.
Sul quale avevate molte perplessità.
Sì, perplessità legate alla sua irruenza. Le nostre riserve erano sul pizzico di demagogia che Pertini non nascondeva. Ma aveva un rapporto molto stretto con la gente, era la voce del popolo. Quindi arrivò il via libera di Flaminio Piccoli.
Cosa disse?
Piccoli era presidente del gruppo della Democrazia Cristiana alla Camera. Una carica che "faceva" i governi: allora alle consultazioni con i capi dello Stato andavano il presidente, il segretario e i due capigruppo del partito.
Dove eravate, quando Piccoli disse sì a Pertini?
Nella sua casa romana. Del resto passavo spesso a prenderlo, per arrivare insieme in Parlamento.
L'elezione di Cossiga?
Lo votammo immediatamente, alla prima chiamata. Lo conoscevo bene, sin da quando arrivai a Roma nel 1972. Da ministro degli Interni veniva spesso alla scuola di polizia di Moena.
L'elezione di Scalfaro arrivò in un altro momento tragico del Paese, due giorni dopo la strage di Capaci e la morte di Giovanni Falcone.
La sua nomina si svolse nell'emozione di quel tragico evento. Come detto, ero commissario della Dc palermitana: avevo lasciato la Sicilia un giorno prima dell'attentato e ricordo ancora quando mi telefonarono per darmi la notizia.
Di quale voto si è pentito? Forse Cossiga?
No, nessun pentimento: era un tempo nel quale, dopo le discussioni interne al partito, si prendevano delle decisioni e queste venivano rispettate. Certo, un ragionamento politico su come sono andate le cose si può fare, ma il sistema partitico di allora metteva sul tavolo le ragioni di tutti, fino a quando si trovava un punto d'incontro.
Oggi non si fa più?
Magari si farà così anche questa volta. Del resto può succedere che anche un personaggio ondivago come Matteo Renzi dica cose sagge, e cioè che bisogna trovare un punto d'incontro sull'elezione del presidente della Repubblica.
Non le piacerebbe che venisse eletto un ex democristiano?
Pierferdinando Casini se la gioca.Ma sono passati due secoli da quando c'era la Democrazia Cristiana. Servono ragionamenti sull'alto profilo della personalità, non sulla collocazione o sulla sua provenienza.

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