Giustizia / Il caso

Appalti dell'Università di Trento: prosciolto Rinaldo Maffei

Un sospiro di sollievo per il sindaco di Nomi, che dal 2018 si era visto sequestrare tutti i beni: “Casa, campagna, eredità familiari, i conti bancari. Mi mancava un anno e mezzo alla pensione con sei mesi di ferie da smaltire. Avrebbero potuto affidarmi un altro incarico”

di Leonardo Pontalti

TRENTO. L'ex dirigente della Direzione patrimonio immobiliare e appalti dell'Università di Trento Rinaldo Maffei e l'allora responsabile pro-tempore della Segreteria Tecnica della Direzione Patrimonio Immobiliare Appalti Lucilla Giuri non hanno arrecato danni erariali con la gestione dell'affidamento dei lavori per il trasferimento del rettorato da via Belenzani a Palazzo Sardagna. Né ne hanno tratto benefici per sé stessi o per altri.

A sancirlo, dopo un iter giudiziario che va avanti dal 2018 a seguito di indagini partite due anni prima, è la Corte dei conti, che ha smontato le accuse avanzate dalla procura della Corte dei conti stessa. A Maffei - e in secondo luogo, con responsabilità più limitate, a Giuri - veniva contestato il «dolo specifico di particolare rilevanza legato al frazionamento distorto dell'appalto per trarre da questa modalità di operare benefici per sé e altri sodali e per avere mano libera nell'assegnazione diretta dei lavori a ditte prescelte, in rapporti d'affari sia con il Maffei che con la Giuri».

Al dirigente e alla responsabile della segreteria tecnica veniva anche contestato il fatto di aver incaricato professionisti esterni senza avvalersi di figure già presenti all'interno dell'Università ma anche su questo fronte, la Corte dei conti ha rilevato come le accuse della procura allo stato degli atti rilevino unicamente come «mere enunciazioni prive di alcun riscontro probatorio» dato che «manca la benché minima prova circa la sussistenza di eventuali illeciti rapporti commerciali, di scambio o di altro genere tra il Maffei e la Giuri e le imprese prescelte».

Un sospiro di sollievo per Maffei, sindaco di Nomi, che dal 2018 si era visto sequestrare tutti i beni. «Casa, campagna, eredità familiari, i conti bancari. Non solo: Io ero legato all'Università da un contratto che era in scadenza nel 2017 e che a causa del procedimento giudiziario in corso non era stato rinnovato. Mi mancava un anno e mezzo alla pensione con sei mesi di ferie da smaltire. Avrebbero potuto affidarmi un altro incarico».

Si accende, Maffei, nel ricordare. Del resto, la sentenza di proscioglimento smonta minuziosamente le accuse che gli erano state mosse «e che erano assurde fin dall'inizio. Mi si accusava di non aver utilizzato professionalità interne dell'Università quando quelle professionalità all'epoca dei fatti erano impegnate sul fronte del polo scientifico di Povo. Mi si accusava di aver proceduto alla scelta discrezionale di imprese, quando a marzo 2013 la Provincia ci disse che entro dicembre dovevamo liberare il rettorato di via Belenzani, destinato alla Cooperazione, e trasferire tutto a Palazzo Sardagna. Struttura che, fino a giugno, era rimasto occupato dall'allora Museo di scienze in attesa di trasferisti alle Albere. Tutti avevano una fretta pazzesca e si doveva intervenire su una struttura sottoposta a vincoli. Avevamo fatto tutto nella massima trasparenza e cercando di ottenere le condizioni migliori, con il tempo a disposizione. E per questo, per quasi quattro anni ho vissuto sotto scacco. Ora posso tornare a guardare avanti e sono molto felice anche per Lucilla Giuri. Non posso che ringraziare i miei legali Luisella Speccher Speri e Adriana Baso dello studio Callipari di Verona, ma non posso esimermi dal sottolineare come tutto fin dall'inizio sia stato basato su elementi che apparivano inconsistenti e come non sia stato tenuto conto di una carriera, come la mia, che in ogni ambito è sempre stata caratterizzata da una specchiata onestà».

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