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Il terzo settore: riforma da prorogare o a rischio servizi per disabili, minori, anziani e famiglie

Molta preoccupazione sull'ipotesi che l'ente pubblico intenda privilegiare la strada degli appalti. Lorandi e Prandini: «Senza rinvio, da giugno alcune realtà nemmeno potranno lavorare. Quindi l'appello che facciamo alla Provincia è: diamoci un anno di tempo in più, e nel frattempo sediamoci subito a un tavolo, apriamo un cantiere da domani, per capire quali bisogni ha la comunità»

di Chiara Zomer

TRENTO. «Se non arriva la proroga sulla riforma del terzo settore, da giugno alcune realtà nemmeno potranno lavorare. E certo molti servizi saranno a rischio. Quindi l'appello che facciamo alla Provincia è: diamoci un anno di tempo in più, e nel frattempo sediamoci subito ad un tavolo, apriamo un cantiere da domani, per capire quali bisogni ha la comunità. Perché il Covid ha cambiato tutto».

La richiesta, accorata, arriva dalle due città. Da una parte c'è Fabiano Lorandi, che a Rovereto presiede l'associazione Ubalda Girella, per ragazzi dai 6 ai 20 anni, decine di volontari e 450 giovani coinvolti ogni anno.

Dall'altra c'è Angelo Prandini, coordinatore de La Bussola, cooperativa sociale con a Madonna Bianca e in Clarina accoglie e accompagna con servizi educativi circa 120 bambini tra elementari e medie, grazie al lavoro di 11 operatori e circa 60 volontari. Lorandi e Prandini alzano la voce adesso, perché adesso è il momento di muoversi.

Il rischio concreto, osservano, è che anche nel sociale si cominci a ragionare a suon di appalti: «E come va a finire l'abbiamo visto con il settore delle pulizie. Male per tutti, con una corsa al massimo ribasso».

La partita è importante: parliamo di servizi per i disabili, minori, adulti in difficoltà, anziani, famiglie.

A spanne, siamo parlando di 9 mila addetti, 90 mila utenti (di cui 37 mila minori) e servizi per un valore complessivo di 110 milioni di euro, di cui 92 milioni circa per le Comunità di valle e 15 - 20 milioni di affidamenti fatti dalla Provincia.

Banalizzando un tema complesso, la riforma prevede che entro il 30 giugno gli enti si debbano accreditare, e che solo quelli accreditati possano partecipare agli affidamenti, organizzati sulla base di quattro procedure possibili: appalto, contributo diretto, coprogettazione e accreditamento libero.

La paura vera è che l'ente pubblico prediliga - perché più facile - l'appalto. Partendo dall'accreditamento, alcune realtà non ce la faranno: «Si tratta di adempiere ad una marea di richieste burocratiche.

Capiamoci: se da adesso al 30 giugno io facessi solo quello, anziché occuparmi dei servizi che garantiamo, ce la farei. Ma intanto ha poco senso, e poi questo non vale per tutti, alcune associazioni potrebbero non farcela», osserva Prandini.

E Lorandi spiega: «La riforma è del 2018, ma le linee guida, con il catalogo dei servizi, sono del febbraio 2020.

Da allora avremmo potuto tutti lavorare per l'accreditamento. Solo che è arrivato immediatamente il Covid, e tutte le realtà del terzo settore sono state più impegnate a garantire servizi, con fatica, in un anno e mezzo di pandemia, che a preoccuparsi degli adempimenti burocratici. Per questo quasi nessuno è pronto. Il mondo delle associazioni ne ha già parlato con i Comuni di Trento e Rovereto e con quelli dell'Alto Garda.

C'è comprensione da parte delle amministrazioni».

La proroga fino al 2022, fanno notare, avrebbe un senso anche in vista del groviglio istituzionale che si sta profilando: a gestire i servizi - quindi gli affidamenti - sono le comunità di valle, ora commissariate. Ma il commissariamento scade a breve, quindi o si prorogheranno i commissari, oppure non si sa neanche con chi le realtà del terzo settore dovranno interfacciarsi. Poi c'è il tema persino più delicato: gli affidamenti. Il che significa, come decidere chi garantisce quale servizio. La paura vera è che se non si proroga l'attuale regime, per gli enti pubblici diventi più facile andare all'appalto.

«Sia la norma che la giurisprudenza dicono che l'appalto dovrebbe essere residuale, che andrebbe privilegiata la coprogettazione, tra ente pubblico e realtà del terzo settore. Dovremmo lavorare senza steccati.

Ma dobbiamo avviare subito il cantiere per fare questo» spiega Prandini. Perché cambia completamente la prospettiva usata finora per pensare a questi servizi: «Qualcosa in questo senso abbiamo fatto anche in passato - ricorda Lorandi - Penso ai piani sociali di comunità, che fotografavano i bisogni, frutto di una vera cooperazione tra ente pubblico e enti del terzo settore. Ma fatto il piano, la collaborazione si interrompeva: se scegliamo la coprogettazione, la collaborazione continua anche in fase di programmazione dei singoli interventi. Per farlo dobbiamo iniziare a lavorare assieme subito».

«Anche perché - conclude Prandini - serve fare una nuova ricognizione dei bisogni: il Covid ha cambiato tutto, siamo sicuri che non solo per i minori, ma anche per gli anziani, per esempio, i bisogni siano sempre gli stessi?».

Serve più tempo, insomma. Al momento è previsto che le nuove regole entrino in vigore con il primo luglio, ma Comuni e Comunità abbiano facoltà di prorogare i singoli affidamenti fino a dicembre: «Ma sarebbe un'altra cosa, con un atto normativo provinciale». Perché il timore è che i Comuni, soppraffatti dalla necessità di affidare i servizi, scelgano l'appalto: «Noi respingiamo questa idea - concludono Lorandi e Prandini - ma non perché siamo contro qualche ipotesi di concorrenza, ma perché la priorità deve essere la qualità del servizio, e la coprogettazione ci sembra la strada più corretta, in assoluta trasparenza. Cominciamo a lavorarci da domani, ma intanto prendiamo tempo». Questo chiederanno anche in commissione provinciale: le audizioni sono previste il 20 e il 27 aprile.

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