«Calpestata la mia dignità di paziente Nel reparto covid di Rovereto personale ottimo Ma eravamo 4 in stanza e senza bagno»

«Di quanto accadeva negli ospedali avevo sempre sentito parlare per la bravura del personale che posso confermare, del decorso della malattia che mi ha "steso", ma mai dei gravi deficit strutturali. Io li ho vissuti sulla mia pelle per quindici giorni e non posso e non voglio tacere».
Manuela Fusari, 55 anni, agente di commercio, è stata ricoverata nel reparto di medicina dell'ospedale di Rovereto che oggi ospita pazienti covid.

È una donna provata dalla malattia, ma combattiva e intenzionata a spiegare, a chi sta fuori, cosa succede nelle stanze dove sono ricoverati i pazienti covid. Nella sua camera ci sono quattro donne e non hanno un bagno.

«Noi non possiamo uscire dalla stanza e quindi tutti i nostri bisogni fisiologici li facciamo in una padella senza nessun tipo di tenda, senza privacy. Ho visto calpestata la mia dignità di paziente».

Daniela Fusari uscirà oggi dall'ospedale, provata per aver visto la morte in faccia, ma intenzionata a battersi affinché qualcosa cambi, affinché qualcuno provveda a cambiare questa situazione. Sono passati mesi dall'inizio dell'emergenza. C'è stata una prima conversione dei reparti di Rovereto a marzo quando era stato scelto il Santa Maria del Carmine come centro riferimento per i malati Covid.

Con la seconda ondata il modello è stato riproposto senza però pensare a qualche miglioria che, in questi mesi, si sarebbe potuta apportare.
Partiamo dall'inizio. Dal suo ingresso in ospedale.
Due settimane fa improvvisamente mi è salita la febbre. Subito 39. La sera stessa avevo perso gusto e olfatto e quindi avevo capito che avevo a che a fare con il Covid. Pensavo di riuscire a gestire la situazione a casa e invece dopo qualche giorno ho avuto difficoltà di respiro. Avevo la saturazione molto bassa. Devo dire subito che ho trovato personale squisito: dal primo operatore che ho sentito quando ho chiamato il 118 alle oss e infermiere del reparto di medicina a Rovereto.
Dopo le prime visite al pronto soccorso dunque è stata ricoverata.
Sì. Con l'ambulanza mi hanno trasferita da Trento a Rovereto in questa stanza da quattro posti. Sono stata in medicina, in un reparto a media intensità. Durante la degenza avevo due tubicini infilati nel naso per l'ossigeno e tuttora ho una broncopolmonite bilaterale, non ho gusto e olfatto, sono ancora positiva ma domani (oggi per chi legge, ndr) posso finalmente tornare a casa.
Mi diceva che siete quattro in stanza.
Si, accanto a me c'è una nonnina di 90 anni, poi una signora di 70 e una di 73. Sul piano ci sono circa una trentina di pazienti. Nella mia stanza non c'è bagno, c'è solo un lavandino. Dobbiamo fare tutto nella padella e lavarci in stanza. Vuole sapere come facciamo? Piazziamo un lenzuolo per terra, abbassiamo le mutande e cerchiamo di fare il possibile usando l'acqua del lavandino. Tutto senza privacy. Senza dignità.
E ovviamente anche andare in bagno è un problema.
Il disagio non è immaginabile. Il personale è eccezionale ma non può venire subito a prendere le padelle ogni volta che suoniamo. Capita che rimangano in stanza, che qualcuna cada per terra. Meglio non entrare troppo nei dettagli. Dico solo che stando sempre allettate ci sono anche dei problemi di mobilità intestinale. Per questo danno dei farmaci e ovviamente quando fanno effetto non è piacevole né per l'interessato né per le altre persone che sono nella stanza.
Dovete ringraziare che non avete l'olfatto in questo caso.
Altrimenti sarei morta. Io non voglio puntare il dito sulle capacità gestionali delle persone che lavorano qui e che sono bravissime. Voglio denunciare i deficit strutturali, il fatto che la mia dignità di malata è stata calpestata. Se fossimo in guerra capisco ma qualcosa per migliorare questa situazione si poteva e doveva fare. Era così all'inizio della pandemia, a marzo, ed è ancora così a distanza di mesi. Il problema è che tanti pazienti hanno vissuto la mia stessa situazione ma quando si esce di qua si è talmente devastati che si vuole solo dimenticare. È una forma di difesa della mente umana. Io però non voglio. Denuncio anche per chi verrà dopo di me. Lo faccio per il personale che sta facendo i salti mortali, che passa gran parte del tempo a svuotare padelle. Lo faccio perché sfido chiunque a mettersi in piazza, abbassarsi le mutande e fare i propri bisogni. Non è accettabile.

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