Coronavirus: Il Cibio di Trento studia una cura Avviata la ricerca, ma servono finanziamenti

di Zenone Sovilla

Una terapia contro gli effetti più gravi provocati dal nuovo coronavirus: è l’obiettivo che si sono dati i ricercatori del Cibio di Trento, il dipartimento di biologia integrata dell’Università, diretto da Alessandro Quattrone. L’idea di fondo, come spiega all’Adige il virologo del Cibio Massimo Pizzato, è di sviluppare anticorpi adeguati da somministrare a pazienti che manifestano i sintomi della covid-19, la patologia respiratoria causata dal nuovo coronavirus.

Il progetto sta muovendo ora i primi passi, grazie alla collaborazione fra due laboratori del Cibio, quello di vaccinologia guidato dal professor Guido Grandi e quello del professor Pizzato,che si occupa di ricerca sui virus e sulla loro interazione con le cellule. Si tratta di uno studio ambizioso, per il quale serviranno finanziamenti ad hoc anche in ambito locale, accanto a quelli che si cercherà di ottenere su scala europea.

«Il laboratorio del professor Grandi - spiega Pizzato - utilizza una strategia innovativa nell’ambito dei vaccini. Sappiamo peraltro che ultimare un vaccino richiede tempi lunghi, perciò abbiamo ritenuto di unire le forze per lavorare ora allo sviluppo di un farmaco, che già entro un anno potrebbe essere pronto. Disporre di una terapia è importante, perché un’epidemia di coronavirus potrebbe ripetersi in futuro».

E come dovrebbe agire sul virus?

«Non impedirebbe l’infezione ma ne eviterebbe l’espansione. Il virus utilizza la cosiddetta proteina spike per legare le cellule e infettarle. Si tratta, dunque, di inibire questo legame, identificando e quindi utilizzando le molecole in grado di bloccare l’azione del virus».

Come si fa?

«Abbiamo a disposizione due possibili strategie. L’una richiede il ricorso a una libreria di composti chimici, per individuare la nuova molecola grazie a strumenti di screening che nei nostri laboratori ci consentono di fare rapidamente migliaia di verifiche. Una volta identificata così una delle molecole rilevanti, si dovrebbe però procedere a caratterizzarla, ma ciò richiede del tempo, quindi il metodo è utile soprattutto in una prospettiva di lavoro più lunga. Perciò abbiamo optato per l’altra via, più veloce: insieme con il professor Grandi cercheremo di generare e selezionare degli anticorpi specifici contro questa proteina spike e poi di modificarli, in modo che sia possibile utilizzarli per fermare il virus».

Come avverrà questo processo di identificazione degli anticorpi?

«Il laboratorio di vaccinologia del Cibio impiega una tecnica di immunizzazione molto efficace. La usiamo per immunizzare dei topi, inoculando loro la parte di proteina che il virus utilizza per legare la cellula. In questo modo vengono generati degli anticorpi specifici che dunque andranno identificati e anche selezionati, per individuare quegli migliori fra i diversi prodotti dai topi. Successivamente questi anticorpi dovranno essere “umanizzati”, altrimenti sarebbero riconosciuti dal corpo umano come un elemento estraneo e eliminati. Con un’operazione non particolarmente complessa andremo dunque a rendere gli anticorpi compatibili e a quel punto avremo una molecola che può bloccare il virus nei pazienti. Ciò avviene già per altri anticorpi che vengono umanizzati nell’ambito, per esempio, di terapie per malattie virali o oncologiche».

Quindi, in sostanza, si interverrebbe in modo da evitare che l’infezione si espanda oltre il livello che innesca il processo distruttivo causato dal sistema immunitario “impazzito”?

«Esattamente. L’ambizione non è di impedire che il virus infetti un individuo. Ma una volta che ha cominciato a propagarsi nel tessuto polmonare si può appunto cercare di arginarlo per consentire al sistema immunitario di combatterlo. Abbiamo davanti a noi una serie di step, con il vantaggio che non si tratterà di una molecola completamente nuova da caratterizzare. Pensando infine alla fase della somministrazione dei farmaci, cercheremo di ridurre la dimensione del nuovo anticorpo, pensando di renderne possibile anche l’inalazione, per accrescerne il tasso di penetrazione nei polmoni».

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