«Il dono che mi ha cambiato la vita» Dopo 16 anni di dialisi, il trapianto

di Patrizia Todesco

Lorenza Menapace, 58 anni, impiegata presso il servizio veterinario di Cles, esattamente 23 anni fa ha ricevuto il più grande regalo che poteva sognare in quel momento. Un dono che le ha cambiato la vita: un rene. Lei, che da quando di anni ne aveva venti, era costretta tre volte a settimana a trascorrere i suoi pomeriggi in ospedale per la dialisi, dopo un primo rigetto dell'organo che con grande generosità le aveva donato la mamma, il 23 marzo 1996 ha ricevuto da Innsbruck la chiamata che c'era un organo compatibile e che poteva essere suo. Da allora Lorenza ha assaporato ogni giorno la sua nuova vita senza mai smettere, nel suo cuore, di ringraziare i familiari del suo donatore. Familiari che ovviamente sono degli sconosciuti perché lei non ha mai potuto sapere nulla del suo donatore, ma spesso, quando legge sui giornali di genitori o di persone che nel dolorosissimo momento della morte di un loro caro danno il consenso per la donazione, lei scrive loro un biglietto di ringraziamento perché sa bene quanto quel dono possa essere prezioso e dare nuova vita.  

Signora Lorenza, quando ha iniziato a stare male?
Mi sono ammalata quando avevo 18 anni. Per un paio di anni ho seguito delle diete aproteiche, fino a quando, nel 1980, sono entrata in dialisi. Trascorrevo tre pomeriggi nel reparto di Cles. Quattro ore e mezzo attaccata ad una macchina che comunque mi permetteva di sopravvivere, non certo di vivere come facevo prima e come faccio ora. Tra una seduta e l'altra mi gonfiavo, dovevo bere pochissimo e la sete era uno dei problemi più grossi. Mi svegliavo di notte e quello che potevo fare era succhiare qualche cubetto di ghiaccio.
Per quanti anni ha fatto questa vita?
Per 16 anni, fatti due conti, ho trascorso 2.480 pomeriggi attaccata ad macchina. Anche mia mamma aveva cercato di cambiare le cose. Nel 1981 mi aveva donato un rene, ma ho avuto un rigetto. Allora anche i farmaci non erano così efficaci. Un gesto d'amore bellissimo, che io ha apprezzato tanto anche se non è andata come speravamo. 
Però non ha perso le speranze di poter abbandonare la dialisi. 
Infatti mi sono subito messa in lista d'attesa a Innsbruck, ma gli anni passavano senza che io ricevessi alcuna chiamata. Quando ormai non ci speravo più, il 27 marzo 1996, è arrivata la chiamata. Il primo sentimento è stato di paura. Poi ho pensato che non volevo trascorrere la vita in quelle condizioni. Andò tutto bene e nel giro di 20 giorni tornai a casa per ricominciare la mia seconda vita. 
Pensa mai al suo donatore?
Anche quando mi hanno chiamato, quel giorno, pensavo che io stavo andando sperando in una vita nuova mentre nello stesso momento altre persone stavano piangendo chi non c'era più. Il fatto è che i medici fanno tutto il possibile per salvare le persone, ma quando non c'è più nulla da fare, quando le persone sono morte, allora pensano agli organi. Del mio donatore non so nulla, ma non ho mai smesso di pensarlo e ringraziarlo. Io ho ricevuto un gioiello. Da allora festeggio la data del trapianto più del mio compleanno. È stata una rinascita, l'inizio di una nuova vita.
E cosa ha fatto che prima non poteva?
Ho iniziato a viaggiare, ad esempio. O più semplicemente a bere. Chi non ha provato la sete non può sapere il piacere che si può provare a bere un bicchiere d'acqua fresca. 
Domenica sarà la giornata della donazione d'organi. Lei come la vive?
Io faccio parte del gruppo Aido e insieme ad altri 11 trentini sabato sarò a Roma ad incontrare il Papa. Con Aido a volte vado anche nelle scuole per sensibilizzare sul tema anche se devo dire che in Trentino, su questo, siamo molto avanti. Ho sentito anche dei genitori del bambino morto dopo l'incidente con il trattore. Hanno fatto un gesto bellissimo. Quando penso ai genitori che in un momento di grande dolore pensano ad aiutare gli altri vorrei essere loro vicina per dire che grande dono d'amore stanno facendo, che con il loro sì danno davvero la vita ad altri. Ai ragazzi raccomando di avere cura della loro salute e della loro vita.
La malattia l'ha certamente fatta maturare in fretta durante gli anni che avrebbero dovuto essere quelli della spensieratezza. 
Sicuramente la malattia prima e il trapianto dopo mi hanno fatto maturare e imparare a distinguere le cose importanti da quelle superflue. Adesso, quando mi gira qualche grillo per la testa, vado a trovare le mie amiche infermiere in dialisi e sono sicura che da lì esco felice, apprezzando ancora di più quello che ho ricevuto in dono dalla vita e dagli altri. 
Cosa l'ha aiutata a superare quei momenti così difficili?
Sicuramente la famiglia. Avere vicino persone che mi hanno aiutato e supportata è stato fondamentale. E poi il lavoro. Anche lì ho sempre incontrato persone comprensive.

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