Matteo morto sulla slackline Sport estremi: più vittime

Solo pochi giorni fa aveva postato il trailer dell'ultima spedizione della sua associazione, la Slackline Bologna, mentre affrontava come un funambolo dell'aria quello stesso strapiombo dei Denti della Sega, a cavallo tra le province di Verona e Trento, dove ieri sera ha perso la vita. "Le giornate, quelle belle" aveva scritto Matteo Pancaldi, 28 anni, nato a Spilamberto (Modena) e residente nel capoluogo emiliano, a commento del video in cui sfidava il vuoto in equilibrio su una sottile fettuccia, circondato dal silenzio e dalle cime.   

Insieme agli amici si trovava da due settimane sui Monti Lessini, fra Passo delle Fittanze (nel comune veronese di Erbezzo) e Sega di Alta, in Trentino, a 1.399 metri di quota, in un luogo particolarmente amato dai patiti, sempre più numerosi, di questo sport estremo che prevede il passaggio da un montagna all'altra su una corda. Al momento dell'incidente indossava l'imbragatura che lo assicurava alla fune attraverso il moschettone, ma qualcosa è andato storto e Matteo è precipitato per 200 metri in un crepaccio. Le perizie dovranno ora accertare cosa non abbia funzionato nel suo dispositivo di sicurezza. Il recupero della sua salma, incastrata in una zona impervia tra la fitta vegetazione sotto il Corno d'Aquilio, ha richiesto quasi cinque ore, impegnando venti uomini del Soccorso alpino di Verona e del Trentino meridionale e l'ausilio di un elicottero. Quando è arrivato sul posto l'equipaggio ha visto subito tre funi sospese, una lunga e due più corte, a unire come un ponte invisibile le guglie delle montagne. Accanto al cadavere, due amiche in lacrime che avevano assistito, impietrite, alla tragedia.   

Studi universitari in chimica, Matteo aveva fatto dello sport oltre la paura la sua ragione di vita: era tra i sei soci fondatori della Slackline, una associazione sportiva che si era fatta conoscere nel gennaio del 2017 per una impresa spettacolare, la camminata sopra Piazza Maggiore a Bologna. E prima ancora per una analoga esibizione, la Monte Rosa Street Boulder, su una fune lunga 80 metri tra due antichi campanili nel comune piemontese di Bannio Anzino. A chi gli chiedeva che cosa lo spingesse a sfidare l'equilibrio estremo rispondeva sorridendo: "è il feeling che dà camminare tra pochi centimetri, quelli della fettuccia, e il nulla".   

L'ultimo omaggio al suo coraggio lo hanno voluto dare i familiari e gli amici più stretti con un saluto nella sua pagina Facebook: "Speriamo che le persone che amano Matteo troveranno conforto nel visitare il suo profilo per ricordare lui e la sua vita".


SPORT ESTREMI, SEMPRE PIU' VITTIME

Ha perso la vita nonostante indossasse l'imbragatura che lo assicurava alla fune sulla quale camminava, sospeso nel vuoto. Ma qualcosa non ha funzionato ed è precipitato, 200 metri sotto. È finita così la vita di Matteo Pancaldi, il 28enne di Modena, ai Denti della Sega sui Monti Lessini, impegnato in un'impresa di slackline. Ma la sua storia - un vero e proprio funambolo assai noto tra gli addetti ai lavori - somiglia a quella di tanti altri che hanno scelto di praticare quello che viene definito uno 'sport estremò, categoria in cui in pochi decenni si sono affastellate tante specialità. Questione di adrenalina, dicono in tanti, ma anche di marketing, aggiungono altri, soprattutto in un'era sempre più social, dove milioni di click fanno la differenza.   

Si tratta di sport dove il minimo errore lo si può pagare con la vita, nonostante le grandi capacità e l'ottima preparazione di persone da considerare a tutti gli effetti veri e propri atleti. Basti pensare al parkour e alle necessarie dosi di forza, equilibrio, velocità e sicurezza da usare al momento giusto. Ogni specialità, poi, ha le sue varianti, come proprio la slackline, in questo caso caratterizzate dalla lunghezza della fettuccia tesa nel vuoto. Ma ce ne sono tantissime altre, come il bungee jumping, il balconing, le arrampicate 'free solò, il buildering. E il base jumper, che è costato la vita pochi giorni fa al britannico Robert Haggarty, di 49 anni, che si era lanciato con una tuta alare da una cima dell'Agordino, nel Bellunese (e ad aprile a un austriaco di 50 anni lanciatosi dal Becco dell'Aquila, in Trentino). Nella lista degli sport estremi figura anche il kitesurf, come dimostra la lunga lista di vittime archiviata ogni anno. A cui si aggiunge quella di oggi, a Marsala, di un ragazzo di 31 anni morto annegato, a quanto pare a causa di un malore.   

Secondo gli addetti ai lavori, gli atleti che praticano sport estremi non sono in alcun modo irresponsabili o attratti da un desiderio di morte. Al contrario si tratta di soggetti con una forte formazione alle spalle e un grande conoscenza dei propri limiti e dell'ambiente circostante. Nessuno sprezzo del pericolo quindi, quanto invece un diverso e più vivido stato di coscienza, che a dire di tanti praticanti costituirebbe un forte potenziale per una trasformazione in positivo dell'individuo. Ma tutto questo, come si è visto, può costare caro. Spesso anche la vita.

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