Greggi, la febbre ovina blocca i corridoi veneti Per i pastori trentini transumanza sospesa

Transumanza a rischio per diecimila capi trentini

di Giorgia_Cardini

I pastori trentini stanno lasciando le malghe dove hanno trascorso l'estate, ma dopo le «desmalgade» saranno costretti a restare in quota ancora per un bel po': i «corridoi» veneti che sono soliti percorrere con le loro greggi per svernare sull'Adriatico sono infatti chiusi al transito a causa della diffusione, nel Feltrino e nel Trevigiano, della febbre catarrale che colpisce i piccoli ruminanti come pecore e capre, comunemente conosciuta come «Bluetongue».

Il blocco riguarda circa diecimila capi allevati col sistema della transumanza nel Trentino orientale (altri diecimila, da quello occidentale, si dirigono di solito verso il Mantovano e il Pavese) ma la Provincia autonoma, per aiutare gli allevatori per lo più valsuganotti a raggiungere la pianura veneta in tempo utile, ossia prima che venga troppo freddo, sta per inviare al Ministero della Sanità una domanda di vaccinazione massiccia d'urgenza.

A spiegare la situazione è il Servizio Veterinario dell'Azienda provinciale servizi sanitari, che insieme al Dipartimento Salute della Provincia, sta monitorando la situazione in collegamento costante con la Regione Veneto. I capi infettati oltre confine sono circa 700 in nove allevamenti, dall'inizio dell'epidemia (i primi focolai sono stati riscontrati in agosto): interessate anche alcune greggi stanziate in località molto vicine al Trentino e in particolare ai pascoli del Primiero e della Valsugana, come Fonzaso e Seren del Grappa.

Per correre ai ripari, la Regione Veneto - spiegano in Apss - ha deciso di chiedere la vaccinazione di tutti i capi allevati, circa 250mila, ma il Ministero non l'ha autorizzata. Le misure messe in atto finora sono dunque il divieto di movimentazione degli animali appartenenti alle specie sensibili, del loro sperma, ovuli ed embrioni verso il territorio libero a livello nazionale (Nord Italia), verso gli altri Stati membri dell'Unione Europea nonchè verso i Paesi terzi. Quindi, l'effettuazione del censimento di tutte le aziende con animali sensibili alla «Bluetongue» e di visite cliniche settimanali in tutti gli allevamenti ovi-caprini nel raggio di 4 km dalle aziende nelle quali è stato riscontrato il virus; infine, prelievi sul latte nelle aziende bovine da riproduzione e prelievi a campione negli allevamenti da carne nelle aree considerate a rischio. Nessun abbattimento di massa, per ora, ma parecchi capi sarebbero già morti.

Ma se la vaccinazione non è stata consentita in Veneto, perché dovrebbe esserlo in Trentino, finora non toccato direttamente dall'epidemia? La risposta del Servizio veterinario dell'Apss è che nella domanda si farà presente che le greggi transumanti provenienti perlopiù dalla Valsugana hanno la necessità di passare per il Feltrino e il Trevigiano per raggiungere le aree di svernamento, situate presso l'Adriatico. Dunque hanno bisogno di essere protette per non essere a loro volta veicolo di potenziale diffusione della malattia.

Ma la resistenza del Ministero alla vaccinazione ha dei motivi: una volta protette pecore e capre, viene spiegato, è infatti molto più difficile individuare la presenza del virus. Il Ministero potrebbe dunque negare l'autorizzazione e rispondere alla Provincia di trasportare le greggi fino all'Adriatico con convogli speciali: con spesa quasi sicuramente a carico dell'ente trentino. Se consentisse invece l'operazione, il costo dovrebbe ricadere sullo Stato con una quota di cofinanziamento europeo. 

Ma se c'è preoccupazione per i diecimila capi che dovrebbero prendere la via del mare, ora bloccati in quota dove la temperatura è ancora mite, ce n'è altrettanta anche per i circa ottomila che - per nove mesi su dodici - sono di stanza in Veneto e che già attualmente, dunque, sono presenti in quella regione.

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